Chi genera e diffonde disinformazione? Questa domanda è diventata sempre più centrale nel dibattito pubblico e accademico, soprattutto dal 2016, anno in cui l’uso dei social media è stato identificato come uno dei principali fattori nella diffusione di notizie false. Tuttavia, una nuova ricerca propone una prospettiva diversa: la disinformazione non è un fenomeno spontaneo legato solo alle piattaforme digitali, ma una strategia politica deliberata utilizzata dai partiti populisti di destra radicale per ottenere vantaggi elettorali.
L’interesse per la disinformazione è esploso con eventi come la Brexit e l’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti, entrambi avvenuti nel 2016. Questi fenomeni hanno sollevato gravi preoccupazioni tra cittadini, studiosi e politici, timorosi che la diffusione di informazioni false potesse minare la democrazia e compromettere la fiducia nelle istituzioni, tra cui media e comunità scientifica. Questo ha portato alla nascita di numerosi studi finalizzati a contrastare la propagazione della disinformazione e a comprenderne le dinamiche. La maggior parte delle ricerche si è concentrata sull’ecosistema dei social media, considerati terreno fertile per la diffusione di contenuti di scarsa qualità.
Una strategia politica e non solo un problema dei social media
Nonostante la preoccupazione diffusa, nuove analisi mostrano che il numero di persone che credono realmente a informazioni false è inferiore a quanto si supponesse inizialmente. Secondo un recente studio, la disinformazione non è un fenomeno universale, ma viene sfruttata in modo sistematico da specifici gruppi politici.
“Le prime indagini vedevano la disinformazione come un effetto collaterale dei social media, con notizie false che si diffondevano viralmente attraverso le reti digitali,” ha spiegato il Dr. Petter Törnberg dell’Università di Amsterdam. “Tuttavia, la nostra ricerca dimostra che la disinformazione è una strategia mirata, adottata in particolare dai partiti populisti di destra radicale, che ne traggono significativi benefici elettorali.”
In collaborazione con la Dr.ssa Juliana Chueri della Vrije Universiteit Amsterdam, Törnberg ha analizzato 32 milioni di tweet pubblicati da parlamentari di 26 paesi in un arco di sei anni, includendo diversi cicli elettorali. Il team ha incrociato questi dati con informazioni su partiti politici, risultati elettorali, composizione dei governi e indicatori di qualità democratica, utilizzando fonti come Parlgov e V-Dem. Inoltre, hanno verificato la presenza di contenuti falsi attraverso dati di fact-checking e liste di fake news di Wikipedia.
I risultati confermano che il populismo di destra radicale è il fattore più determinante nella diffusione della disinformazione. Né il populismo di sinistra, né la politica di destra tradizionale mostrano la stessa correlazione con la diffusione di notizie false.
L’uso della disinformazione nei movimenti populisti
Gli studiosi sottolineano che la disinformazione non è un tratto comune a tutti i movimenti populisti. “Studi precedenti sostenevano che la diffusione di notizie false fosse un riflesso dell’anti-elitismo populista e della cosiddetta politica ‘post-verità’. Tuttavia, il nostro studio dimostra che la vera causa è l’ostilità verso le istituzioni democratiche tipica del populismo di destra radicale,” ha spiegato Törnberg.
Mentre i populisti di sinistra si concentrano su questioni economiche e sulla democrazia partecipativa, rendendo la disinformazione un elemento secondario nella loro comunicazione, i populisti di destra radicale enfatizzano le rimostranze culturali e si oppongono alle norme democratiche, facendo delle notizie false uno strumento chiave per la loro propaganda.
Secondo lo studio, questi movimenti hanno saputo costruire veri e propri ecosistemi mediatici alternativi, che amplificano i loro messaggi attraverso un mix di siti di informazione online, blog e persino media più tradizionali come radio e televisione, riconfigurati per diffondere le loro narrazioni. Törnberg ha evidenziato come queste reti non solo rinforzino i messaggi politici, ma contribuiscano anche a creare un senso di appartenenza tra i sostenitori, alimentando una contro-narrazione che sfida quella promossa dai media tradizionali.
Una crisi di legittimità delle istituzioni democratiche
Per Törnberg e Chueri, il successo della disinformazione nella politica di destra radicale non è un fenomeno isolato, ma il sintomo di una crisi più profonda della legittimità democratica. La crescente disuguaglianza economica, il malcontento nei confronti del modello neoliberale dominante da decenni e l’aumento del potere delle élite economiche hanno contribuito a minare la fiducia nelle istituzioni. Questo contesto ha creato le condizioni ideali affinché la disinformazione potesse essere sfruttata come strumento politico.
“Sfruttando la crisi di fiducia nelle istituzioni e costruendo reti mediatiche parallele, i populisti di destra radicale utilizzano la disinformazione per destabilizzare le democrazie e consolidare il proprio potere,” ha concluso Törnberg. La ricerca, pubblicata nell’International Journal of Press/Politics, sottolinea l’urgenza di comprendere il legame tra populismo di destra radicale e disinformazione per contrastare l’erosione della democrazia.