La storia dell’umanità è conservata nei manufatti e nei reperti archeologici, ma ciò che manca spesso è l’elemento più importante: il volto delle persone che hanno vissuto in epoche passate. Per colmare questo vuoto, l’archeologo e scultore svedese Oscar Nilsson ha dedicato oltre 30 anni alla ricostruzione facciale di antichi esseri umani, combinando arte e scienza per dare un’identità ai resti scheletrici.
Le sue sculture, esposte nei musei di tutto il mondo, offrono un’impressionante connessione emotiva con il passato. “Quando vedi un volto umano, ottieni una risposta emotiva”, afferma Nilsson. “Ci fa comprendere la storia in modo molto più personale”. Ma come riesce a dare vita a questi antichi volti?
La creazione di un volto: dalla scansione del cranio alla scultura finale
Per ogni ricostruzione, Nilsson raccoglie quante più informazioni possibili sulla persona da ricreare. Oltre alle scansioni tomografiche computerizzate del cranio, i dati fondamentali sono: genere, età, etnia e peso. Questi elementi permettono di stimare la profondità dei tessuti del viso grazie a tabelle basate su oltre 220.000 misurazioni anatomiche raccolte negli ultimi 150 anni.
Con queste informazioni, Nilsson realizza una replica in 3D del cranio su cui applica piccoli pioli di diversa lunghezza, che indicano la profondità del tessuto facciale. “A questo punto, il volto sembra uscito da un film horror degli anni ’80”, scherza. Successivamente, modella l’argilla sopra i pioli, ricreando il volume del viso con precisione scientifica.
L’anatomia del volto: come naso, bocca e occhi prendono forma
Le caratteristiche facciali vengono definite basandosi sulla struttura ossea. Naso e bocca sono relativamente facili da ricostruire: la forma della cavità nasale e la dentatura forniscono indizi precisi sulla loro conformazione. Gli occhi, invece, rappresentano una sfida maggiore. Anche se si può determinare quanto siano infossati e la forma delle palpebre, il loro colore e la loro espressione sono più difficili da definire.
Le orecchie, infine, sono l’aspetto più speculativo della ricostruzione: poiché la cartilagine non si conserva nel tempo, Nilsson cerca di ricostruirle nel modo più plausibile possibile, basandosi su modelli anatomici.
Il confine tra scienza e arte
A questo punto, il processo diventa più artistico. Nilsson deve bilanciare il rigore scientifico con la sensibilità estetica. “È come camminare su una cresta montuosa: da un lato c’è la precisione scientifica, dall’altro la libertà artistica“, spiega.
Il lavoro sui dettagli è maniacale: ogni ruga, poro e ciocca di capelli viene realizzata con estrema cura. Per rendere le ricostruzioni ancora più realistiche, Nilsson utilizza capelli umani veri, impiantandoli uno per uno nella scultura.
Il contributo della genetica alla ricostruzione facciale
Grazie ai progressi della genetica, oggi è possibile determinare con maggiore precisione il colore degli occhi, della pelle e dei capelli attraverso l’analisi del DNA. Se negli anni ’90 il colore degli occhi era una variabile ignota, oggi gli scienziati sono in grado di distinguere tra blu, marrone e sfumature intermedie. Lo stesso vale per la tonalità della pelle e persino per la struttura dei capelli.
La ricostruzione facciale nella scienza forense
La ricostruzione facciale non è solo uno strumento per riscoprire il passato, ma anche una tecnica fondamentale nella scienza forense. In questo campo, il margine di errore deve essere ridotto al minimo, poiché l’obiettivo è consentire a familiari e amici di riconoscere un volto partendo da un semplice cranio.
Secondo Kathryn Smith, esperta di ricostruzione forense presso l’Università di Stellenbosch, ogni dettaglio deve essere supportato da prove scientifiche. Per evitare influenze soggettive, le ricostruzioni forensi vengono spesso realizzate in scala di grigi, escludendo dettagli non verificabili come il colore della pelle o dei capelli.
Smith, a differenza di Nilsson, lavora esclusivamente con strumenti digitali, utilizzando un software che le permette di modellare il viso come se stesse scolpendo manualmente. “Mi piace la flessibilità della rappresentazione digitale: permette di modificare e persino animare il volto, rendendo il processo molto più dinamico”, spiega.
Un’interpretazione, non un ritratto
Nel caso delle ricostruzioni storiche, esiste un margine di interpretazione leggermente più ampio rispetto alla scienza forense. Tuttavia, Nilsson sottolinea che il suo obiettivo non è creare un ritratto perfetto, ma un’interpretazione plausibile di un volto antico.
Per esempio, quando ha ricostruito il volto di una regina della civiltà Wari, vissuta in Perù prima degli Inca, avrebbe potuto darle un espressione severa e dominante. Tuttavia, ha scelto di mantenere un volto enigmatico, che potesse suggerire sia potere che gentilezza.
“Ogni decisione deve essere in armonia con i dati a disposizione”, spiega Nilsson. “Non deve essere una mia visione personale, ma il risultato di un’attenta analisi scientifica”.
L’intelligenza artificiale rivoluzionerà la ricostruzione facciale?
Uno degli strumenti più promettenti per il futuro della ricostruzione facciale è l’intelligenza artificiale. Secondo Nilsson, con un numero sufficiente di dati sulle correlazioni tra crani e volti, una rete neurale potrebbe individuare schemi invisibili anche all’occhio umano più esperto.
L’IA potrebbe migliorare notevolmente l’accuratezza delle previsioni, rendendo la ricostruzione facciale più scientifica e meno soggettiva. Tuttavia, Nilsson rimane scettico sull’idea di sostituire completamente l’artista umano con un algoritmo “scatola nera”.
Ciò che non cambierà, secondo lui, è il nostro bisogno profondo di connetterci con i volti del passato. “La fascinazione per i volti è qualcosa di innato nell’essere umano. È sempre stata con noi e continuerà a esserlo. Cambierà solo la tecnica”.