L’industria petrolchimica, cresciuta esponenzialmente dalla fine degli anni ’40, ha trasformato il mondo moderno con prodotti di uso quotidiano venduti come soluzioni innovative ed economiche. Tuttavia, dietro la promessa di comodità e basso costo, si nasconde una realtà inquietante: la dipendenza dai combustibili fossili, con il conseguente impatto su clima, salute e ambiente.
Un recente studio pubblicato su Environmental Innovation and Societal Transitions sottolinea come il legame tra cambiamento climatico e inquinamento chimico sia stato a lungo ignorato, minacciando il delicato equilibrio della vita sulla Terra.
La chimica del petrolio e i suoi effetti sulla salute
I prodotti chimici derivati dal petrolio sono presenti in una vasta gamma di beni di consumo, materiali agricoli e industriali. Molti di essi sono associati a gravi malattie croniche, tra cui tumori, obesità, diabete, problemi riproduttivi e neurologici. Inoltre, la loro produzione e smaltimento hanno contaminato aria, acqua e suolo a livello globale, creando una crisi parallela a quella climatica.
Secondo Xenia Trier, docente di chimica ambientale all’Università di Copenaghen, le strategie per ridurre le emissioni di gas serra si concentrano principalmente sulla transizione energetica, senza considerare l’uso di petrolio e gas nell’industria chimica. Trier e il suo team hanno evidenziato che le previsioni dell’industria petrolifera non indicano una riduzione della produzione, poiché il settore sta puntando sempre più sulla produzione di plastica e prodotti chimici.
La crescita dell’industria petrolchimica
Secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia, l’industria chimica rappresenta già la terza maggiore fonte di emissioni di CO₂ a livello mondiale ed è destinata a espandersi ulteriormente. La domanda di plastica continua a crescere e, secondo il rapporto 2023 della Minderoo-Monaco Commission on Plastics and Human Health, la produzione globale potrebbe triplicare entro il 2060.
Questo incremento ha costi enormi: nel 2015, solo negli Stati Uniti, le malattie legate all’esposizione a sostanze chimiche pericolose hanno generato costi sanitari superiori a 920 miliardi di dollari, mentre le emissioni legate alla plastica hanno causato danni stimati in oltre 340 miliardi di dollari annui.
Nonostante l’industria chimica sostenga che i suoi prodotti siano economici e sostenibili, il loro prezzo reale è pagato dai cittadini attraverso il deterioramento della salute pubblica e dell’ambiente.
Plastica e gas serra: un legame indissolubile
La plastica non solo inquina, ma contribuisce direttamente al cambiamento climatico in ogni fase del suo ciclo di vita: dalla produzione basata sul petrolio, fino allo smaltimento e incenerimento, che rilascia ulteriori gas serra nell’atmosfera.
Alcuni prodotti chimici industriali sono essi stessi potenti gas serra, tra cui il metano e i PFAS (i cosiddetti “inquinanti eterni”), impiegati nella produzione di fluoropolimeri. Secondo Trier, questi processi chimici utilizzano gas serra altamente volatili, difficili da contenere senza significative perdite nell’ambiente.
Un’analisi del 2019 ha stimato che l’industria della plastica ha emesso 1,7 gigatonnellate di CO₂ equivalenti in un solo anno. Nel 2021, il gruppo ambientalista Toxic-Free Future ha rivelato che un’azienda statunitense produttrice di polimeri fluorurati ha rilasciato oltre 240.000 libbre di una sostanza chimica altamente inquinante che contribuisce al riscaldamento globale e alla distruzione dello strato di ozono.
La crisi del consumismo e la crescita insostenibile
Uno dei problemi principali, secondo la tossicologa ambientale Jane Muncke, è il modello economico basato su una crescita illimitata. Il consumismo sfrenato alimenta una domanda continua di materiali e prodotti chimici, portando all’esaurimento delle risorse naturali e a un impatto devastante sulla biodiversità.
“Siamo come un parassita che sta uccidendo il suo ospite”, afferma Muncke, sottolineando come il sistema attuale metta il profitto a breve termine al di sopra di ogni considerazione per il futuro del pianeta.
Per invertire questa tendenza, Trier e il suo team propongono una strategia globale che rivoluzioni il modo in cui produciamo e utilizziamo i materiali, promuovendo un approccio circolare che riduca l’impatto ambientale.
Il futuro della sostenibilità: meno consumo, più responsabilità
Il vero cambiamento non può limitarsi a sostituire i combustibili fossili con materie prime biologiche, poiché ciò comporterebbe un consumo intensivo di terra, acqua e pesticidi. La chiave è ridurre la produzione e il consumo complessivo di materiali, privilegiando alternative sicure e sostenibili.
Le politiche pubbliche devono riconoscere che la plastica e la chimica del petrolio non sono solo una questione di inquinamento, ma un problema strutturale che riguarda salute, economia e ambiente.
“La radice di tutti i problemi dell’umanità è il sovraconsumo,” conclude Muncke. “Non possiamo più permettere che gli interessi economici determinino il nostro futuro. Se non cambiamo rotta, sarà il parassita a uccidere il suo ospite.”