La formazione dei pianeti attorno a stelle di bassa massa potrebbe non seguire le tempistiche finora ritenute standard. Un nuovo studio, basato su osservazioni con l’Atacama Large Millimeter/submillimeter Array (ALMA), ha individuato un disco planetario che, invece di dissolversi dopo circa 10 milioni di anni, come suggerito dai modelli classici, persiste da almeno 30 milioni di anni. Questo fenomeno, noto come disco di Peter Pan, potrebbe ridefinire la nostra comprensione della formazione planetaria.
Il segreto dei dischi longevi: un’anomalia cosmica
Normalmente, dopo la nascita di una stella, il materiale residuo di gas e polveri si aggrega formando un disco protoplanetario, la culla dei futuri pianeti. Tuttavia, la maggior parte di questi dischi esaurisce il gas entro i primi 10 milioni di anni, lasciando solo detriti solidi destinati a formare mondi rocciosi.
Nel 2020, il progetto Disk Detective, basato sulla scienza cittadina, ha individuato quattro dischi di Peter Pan, caratterizzati dalla loro persistenza oltre i 20 milioni di anni. Secondo Steven Silverberg, responsabile del progetto, questi dischi presentano quattro caratteristiche distintive: orbitano attorno a stelle di bassa massa, emettono forte radiazione infrarossa, mostrano tracce di gas caldo e hanno un’età superiore ai 20 milioni di anni.
Oggi, i dischi noti di questo tipo sono appena nove, e gli scienziati stanno cercando di capire cosa permetta loro di resistere così a lungo.
J0446B: un laboratorio naturale per lo studio dei dischi di lunga durata
Per approfondire la composizione di questi dischi, gli astronomi hanno puntato il James Webb Space Telescope (JWST) su WISE J044634.16–262756.1B, noto come J0446B. Il telescopio ha individuato una serie di molecole mai osservate prima in un disco così vecchio, compresi idrocarburi che potrebbero influenzare direttamente la formazione dei pianeti.
Secondo Feng Long, ricercatore presso il Lunar and Planetary Lab dell’Università dell’Arizona, la radiazione stellare potrebbe essere il fattore chiave che permette a questi dischi di esistere per così tanto tempo. I raggi X e la radiazione ultravioletta estrema ionizzano il gas all’interno del disco, alterandone la chimica e rallentandone la dissipazione.
L’età stellare: una sfida per gli scienziati
Determinare l’età di una stella non è un compito semplice. Tuttavia, molte stelle nascono all’interno di ammassi, gruppi che si muovono insieme attraverso la galassia. Gli scienziati utilizzano questa caratteristica per datare le stelle in modo relativo.
Grazie ai dati della missione Gaia dell’Agenzia Spaziale Europea, che ha misurato con estrema precisione le posizioni di oltre un miliardo di stelle, gli studiosi hanno stimato che J0446B e il suo disco abbiano circa 33 milioni di anni. Un valore sorprendentemente alto per un sistema planetario ancora in evoluzione.
Dischi longevi e la formazione di pianeti giganti
Un disco di lunga durata potrebbe giocare un ruolo cruciale nella formazione di pianeti giganti. I modelli classici suggeriscono che questi mondi si sviluppino nei primi milioni di anni, poiché necessitano di una grande quantità di gas. Tuttavia, se il disco persiste più a lungo, potrebbe offrire ulteriore tempo per l’aggregazione di nuclei massicci, favorendo la nascita di giganti gassosi anche in condizioni inaspettate.
Secondo Long, la composizione chimica del disco influenza direttamente i tipi di pianeti che potrebbero emergere. Ad esempio, J0446B è ricco di idrocarburi, un elemento che potrebbe incidere sulle atmosfere planetarie. Pianeti rocciosi attorno a stelle di bassa massa potrebbero sviluppare atmosfere dense di carbonio, simili a quella di Titano, la luna di Saturno, considerata una delle migliori candidate per ospitare la vita nel Sistema Solare.
I dischi di Peter Pan: rarità o limite della nostra tecnologia?
Nonostante il crescente interesse per i dischi di Peter Pan, questi fenomeni sembrano estremamente rari. Solo nove sono stati identificati fino ad oggi, e nessuno è stato studiato in dettaglio quanto J0446B.
Una possibile spiegazione della loro rarità potrebbe essere la limitata capacità degli strumenti attuali. Silverberg, in un articolo del 2020, ha ipotizzato che la loro scarsa rilevazione potrebbe dipendere più da limiti di osservazione che da una reale scarsità di questi sistemi. Un’altra ipotesi suggerisce che alcuni dischi evolvano più lentamente, mantenendo la loro struttura primordiale per un tempo molto più lungo del previsto.
Il mistero di questi dischi longevi rimane ancora aperto. Tuttavia, con l’evoluzione delle tecnologie osservative e missioni come JWST e Gaia, la nostra comprensione della formazione planetaria potrebbe essere destinata a una rivoluzione.