La prossima settimana avrà inizio in North Dakota un processo che potrebbe segnare un punto di svolta per il movimento ambientalista globale. La compagnia Energy Transfer, sviluppatrice del controverso Dakota Access Pipeline, ha intentato una causa multimilionaria contro Greenpeace, accusandola di diffamazione e di aver sostenuto manifestanti che avrebbero danneggiato la sua proprietà.
Secondo esperti legali e attivisti, questa non è solo una disputa giudiziaria tra una multinazionale e un’organizzazione ambientalista, ma un attacco più ampio alla libertà di espressione e alla partecipazione pubblica alle proteste.
Una strategia per mettere a tacere gli attivisti?
La denuncia presentata da Energy Transfer non è il primo tentativo di colpire legalmente Greenpeace. Già otto anni fa, la compagnia aveva avviato un’azione legale simile, poi respinta, dichiarando apertamente che il vero obiettivo era inviare un messaggio ai movimenti ambientalisti.
“Si tratta di silenziare Greenpeace e di mandarla in bancarotta, ma soprattutto di lanciare un avvertimento alla società civile,” ha dichiarato Sushma Raman, direttrice ad interim di Greenpeace USA, durante una conferenza stampa.
Diversi esperti ritengono che questa causa rientri nella categoria delle SLAPP (Strategic Lawsuit Against Public Participation), ovvero azioni legali usate dalle grandi corporazioni per soffocare il dissenso attraverso costi legali proibitivi per gli imputati.
Un effetto intimidatorio sul movimento ambientalista
La causa, che ha già costretto Greenpeace a spendere milioni di dollari in spese legali, potrebbe avere ripercussioni ben oltre il singolo caso. Michael Burger, direttore del Sabin Center for Climate Change Law della Columbia University, ha definito il processo “un esempio enorme e pericoloso di SLAPP”, sottolineando il rischio che simili azioni legali possano scoraggiare attivisti e associazioni dal denunciare abusi ambientali.
A rendere la situazione ancora più delicata è il fatto che il North Dakota non dispone di leggi anti-SLAPP, strumenti giuridici presenti in molti altri stati per bloccare rapidamente cause pretestuose.
Energy Transfer: “Non è una questione di libertà di parola”
Un portavoce di Energy Transfer ha negato che la causa abbia l’obiettivo di reprimere la libertà di espressione.
“La nostra azione legale contro Greenpeace riguarda il rispetto della legge, non la libertà di parola,” ha affermato in una dichiarazione ufficiale. “Chiunque ha il diritto di protestare, ma se lo fa violando le norme, deve risponderne legalmente.”
L’azienda sostiene che Greenpeace abbia diffuso informazioni false e abbia supportato attivamente manifestanti che avrebbero commesso atti vandalici contro il gasdotto e minacciato dipendenti della compagnia.
Standing Rock: la protesta che ha cambiato tutto
Il caso affonda le sue radici nelle storiche proteste del 2016-2017 presso la Riserva Indiana di Standing Rock, dove migliaia di nativi americani e attivisti ambientalisti si opposero alla costruzione del Dakota Access Pipeline. La mobilitazione, che ottenne il sostegno di celebrità e politici, portò l’amministrazione Obama a bloccare il progetto, salvo poi essere riapprovato con l’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca.
Da allora, le proteste contro le infrastrutture per i combustibili fossili sono finite sempre più sotto attacco. Almeno 21 stati negli USA hanno promulgato leggi per inasprire le pene contro chi manifesta nei pressi di gasdotti e impianti energetici, una misura sostenuta dall’industria petrolifera, che ha paragonato alcuni atti di vandalismo a forme di terrorismo.
Un precedente pericoloso per le proteste future
Gli esperti temono che, se la causa dovesse avere successo, potrebbe creare un precedente giuridico pericoloso. Deepa Padmanabha, avvocata senior di Greenpeace USA, ha evidenziato come il caso voglia introdurre il concetto di responsabilità collettiva per le proteste:
“Se questa strategia funzionasse, chiunque supporti una manifestazione potrebbe essere ritenuto responsabile per eventuali illeciti commessi da altri,” ha spiegato. “L’effetto sarebbe devastante per il diritto alla protesta.”
Un processo sotto stretta osservazione
A monitorare il processo saranno diversi gruppi per i diritti civili e per la libertà di stampa, preoccupati per possibili irregolarità. Già prima dell’inizio delle udienze, alcuni volantini distribuiti nella contea dei futuri giurati sembravano favorire la posizione di Energy Transfer, sollevando dubbi sull’imparzialità della selezione della giuria. Inoltre, il giudice ha negato la possibilità di trasmettere il processo in diretta streaming, limitando l’accesso al pubblico.
Il dibattimento, che durerà almeno cinque settimane, potrebbe avere ripercussioni globali sul futuro dell’attivismo ambientale e sulle strategie legali delle multinazionali contro i movimenti di protesta.