Pochi argomenti dividono gli amanti degli animali tanto quanto la scelta di tenere i gatti in casa o lasciarli liberi di esplorare il quartiere. Se da un lato la libertà di movimento soddisfa il loro istinto naturale, dall’altro emergono continuamente nuove evidenze sui rischi che comporta, sia per la loro sicurezza che per l’ambiente.
Un recente studio ha portato alla luce un motivo inaspettato per limitare le uscite dei felini domestici: la contaminazione dei nidi degli uccelli con insetticidi derivati dai trattamenti antipulci. Questa scoperta sottolinea ancora una volta come la presenza dei gatti abbia ripercussioni dirette e indirette sulla biodiversità.
L’impatto dei gatti sulla fauna selvatica
L’abilità predatoria dei gatti è ben documentata. Secondo studi precedenti, i gatti domestici uccidono ogni anno tra 160 e 270 milioni di animali nel Regno Unito, mentre in Australia il loro impatto è ancora più devastante, con una stima di 650 milioni di rettili uccisi ogni anno.
Uno studio condotto nel 2022 ha dimostrato che questi felini si nutrono di almeno 2.084 diverse specie animali, tra cui uccelli, piccoli mammiferi e rettili, ma anche prede più insolite come emu, tartarughe marine verdi e persino bovini (presumibilmente già morti).
Il problema principale è che i gatti non si inseriscono in maniera naturale negli ecosistemi in cui vengono introdotti. Sono una specie invasiva la cui presenza è modellata direttamente dagli esseri umani, con effetti spesso catastrofici sulla biodiversità locale.
Ora, un nuovo studio aggiunge un altro tassello a questa complessa dinamica, rivelando che i gatti possono influenzare negativamente la fauna selvatica in modi ancora meno evidenti, ma altrettanto pericolosi.
L’inattesa contaminazione dei nidi
Gli scienziati dell’Università del Sussex hanno scoperto che i pulcini di molte specie di uccelli muoiono a causa dell’esposizione a sostanze chimiche tossiche provenienti dai trattamenti antipulci per animali domestici.
Lo studio ha analizzato 103 nidi di cince azzurre e cince maggiori raccolti nel Regno Unito, riscontrando che ogni nido era foderato con peli di animali domestici. In questi campioni sono state rilevate tracce di 17 diversi insetticidi, tra cui fipronil e imidacloprid, due pesticidi vietati per uso agricolo rispettivamente nel 2013 e nel 2018.
Il fipronil, in particolare, è stato individuato in tutti i nidi analizzati, mentre l’imidacloprid era presente nell’89% dei casi. Questi pesticidi, sebbene non più utilizzabili in agricoltura, sono ancora ampiamente impiegati nei trattamenti antiparassitari per cani, gatti e bestiame.
L’aspetto più allarmante emerso dalla ricerca è la correlazione tra la quantità di insetticidi nei nidi e il tasso di mortalità dei pulcini. Più alta era la concentrazione di pesticidi, maggiore era il numero di piccoli uccelli morti prima di lasciare il nido.
Il ruolo dei proprietari di animali domestici
Lo studio evidenzia un problema ambientale sottovalutato. I ricercatori non intendono demonizzare l’uso dei trattamenti antipulci, che sono essenziali per la salute degli animali domestici, ma sottolineano l’importanza di una maggiore consapevolezza sui potenziali effetti collaterali.
L’Associazione Veterinaria Britannica sconsiglia di applicare trattamenti antiparassitari in modo sistematico tutto l’anno e invita i veterinari a valutare caso per caso la necessità di tali prodotti, tenendo conto dello stile di vita dell’animale e del rischio reale di infestazione.
Se, ad esempio, un gatto vive esclusivamente in casa e non ha contatti con altri animali, potrebbe non essere necessario un trattamento frequente contro pulci e zecche. Questo approccio più mirato ridurrebbe la diffusione involontaria di sostanze tossiche nell’ambiente.
Un appello per una regolamentazione più rigida
Gli esperti chiedono un’analisi più approfondita sui farmaci veterinari e il loro impatto ambientale. Sue Morgan, amministratore delegato di SongBird Survival, ha commentato con preoccupazione i risultati dello studio:
“È estremamente allarmante scoprire che i pesticidi tossici contenuti nei farmaci veterinari stanno contaminando i nidi degli uccelli. I proprietari di animali saranno scioccati nel sapere che, nel tentativo di proteggere i loro amici a quattro zampe, potrebbero inavvertitamente contribuire alla morte di pulcini e alla riduzione delle popolazioni di uccelli.”
Nel Regno Unito, oltre la metà delle specie di uccelli canori è già in declino o minacciata. La scoperta di questa nuova fonte di inquinamento chimico sottolinea l’urgenza di un intervento normativo per limitare i rischi ambientali legati all’uso di antiparassitari veterinari.
Lo studio, pubblicato sulla rivista Science of the Total Environment, rappresenta un ulteriore tassello nel dibattito sulla convivenza tra animali domestici e fauna selvatica. La sfida ora è trovare un equilibrio tra benessere degli animali domestici e protezione degli ecosistemi naturali, evitando impatti indesiderati sulle specie già a rischio.