Per gran parte della storia umana, il cambiamento climatico ha colpito regioni specifiche, causando carestie, siccità e sconvolgimenti sociali. Molte civiltà fiorenti sono crollate sotto il peso di mutamenti climatici implacabili, che hanno alterato i loro delicati equilibri economici e politici. Ecco cinque imperi potenti che non sono sopravvissuti alla furia della natura.
L’impero accadico: la prima vittima della siccità
Circa 4.300 anni fa, il leggendario Sargon il Grande unificò le città-stato della Mesopotamia, dando vita al primo impero della storia. Gli Accadi dominarono il territorio lungo i fiumi Tigri ed Eufrate, dall’odierno Golfo Persico fino alla Turchia. Tuttavia, appena due secoli dopo, attorno al 2150 a.C., l’impero collassò improvvisamente.
Le cause del declino sono state dibattute per secoli, ma oggi gli archeologi concordano su un fattore determinante: una siccità estrema. Il poema epico noto come Maledizione di Akkad racconta di un periodo in cui “i campi non davano grano, i fiumi non offrivano pesci e le nuvole non portavano pioggia”.
Nel 2018, studi condotti nella Grotta di Gol-e-Zard, nell’attuale Iran, hanno fornito la prova definitiva: l’analisi delle stalagmiti ha mostrato un aumento dei livelli di magnesio, segno di un clima insolitamente arido e polveroso proprio nel periodo del crollo accadico.
Angkor: la città idraulica soffocata dai monsoni
Nel cuore dell’attuale Cambogia, l’antica città di Angkor rappresentava il fulcro del potente Impero Khmer, fiorito tra il IX e il XV secolo d.C.. Il suo sofisticato sistema idrico, composto da una rete di serbatoi e canali, la rese una delle metropoli più avanzate del mondo medievale.
Tuttavia, il clima tropicale del Sud-est asiatico si rivelò una lama a doppio taglio. Nel XV secolo, le piogge monsoniche divennero sempre più estreme, provocando inondazioni devastanti. Gli studi sugli anelli degli alberi hanno confermato che, mentre la città combatteva contro l’acqua in eccesso, una siccità prolungata ridusse drasticamente la produzione agricola.
Con un sistema idrico compromesso e le scorte alimentari in crisi, Angkor divenne sempre più vulnerabile. Nel 1431, l’indebolita capitale crollò sotto la pressione degli invasori siamesi, segnando la fine di uno degli imperi più grandiosi dell’Asia.
I Maya: il declino della civiltà delle piramidi
Nati intorno al 2600 a.C., i Maya costruirono una delle civiltà più raffinate dell’America Centrale, sviluppando avanzate conoscenze in astronomia, matematica e architettura. Tuttavia, tra l’800 e il 950 d.C., il loro mondo crollò in quello che gli storici considerano uno dei più drammatici collassi politici e sociali della storia.
I motivi della caduta sono stati oggetto di accese discussioni, ma negli ultimi decenni le prove climatologiche hanno evidenziato una mega-siccità che devastò l’intera regione tra il IX e l’XI secolo. Studi geologici hanno dimostrato che, in quel periodo, le piogge si ridussero drasticamente, causando carestie e guerre tra le città-stato.
Entro il 950 d.C., le maestose piramidi e palazzi di centri come Tikal e Copán erano già abbandonati, inghiottiti dalla giungla. Eppure, la cultura maya non scomparve del tutto: i suoi discendenti vivono ancora oggi in Messico, Guatemala e Belize.
I norreni in Groenlandia: vittime di un inverno senza fine
Nel 985 d.C., coloni vichinghi guidati da Erik il Rosso salparono dalla Scandinavia per stabilirsi nelle fertili valli della Groenlandia, allora insolitamente calde grazie al Periodo Caldo Medievale. Per oltre tre secoli, gli insediamenti norreni prosperarono, basandosi su agricoltura e allevamento.
Ma il clima non rimase stabile. Attorno al 1300, l’eruzione del vulcano Samalas, in Indonesia, provocò un raffreddamento globale, dando inizio alla Piccola Era Glaciale. Il freddo intenso rese impossibile l’agricoltura e portò a un drastico declino della popolazione.
Tuttavia, ricerche recenti hanno rivelato un altro fattore cruciale: la siccità. L’analisi dei sedimenti lacustri ha mostrato che, invece di un gelo improvviso, i coloni norreni soffrirono una progressiva riduzione delle risorse idriche, che compromise il loro allevamento di bestiame. Senza cibo né sostegno dalla madrepatria, la colonia groenlandese scomparve, lasciando solo rovine.
I Pueblo ancestrali: il tramonto dei signori del deserto
Per quasi 2.000 anni, dal 300 a.C. al 1300 d.C., gli Ancestral Puebloans prosperarono nelle aride terre dell’attuale sud-ovest degli Stati Uniti, costruendo incredibili complessi in arenaria come quelli di Chaco Canyon e Mesa Verde. La loro economia si basava su mais, commercio e una gestione attenta delle risorse idriche.
Tuttavia, l’equilibrio su cui poggiava la loro sopravvivenza era fragile. A partire dal XIII secolo, la combinazione di deforestazione, erosione del suolo e cambiamenti climatici portò la regione a un punto di non ritorno. Una lunga siccità, unita a pratiche agricole insostenibili, rese impossibile la produzione di cibo.
Senza alternative, i Pueblo furono costretti ad abbandonare i loro insediamenti, migrando verso aree più favorevoli. Molti non sopravvissero, ma la cultura pueblo è ancora viva oggi attraverso le popolazioni Zuni, Hopi e altre tribù native americane.
La lezione della storia
Queste cinque civiltà sono state travolte da cambiamenti climatici estremi, spesso in combinazione con guerre, crisi economiche e disastri ecologici. Sebbene la tecnologia moderna ci permetta di affrontare le sfide climatiche in modi inediti, la storia dimostra che nessuna società è immune agli sconvolgimenti della natura.