Il mercato multimiliardario degli animali selvatici negli Stati Uniti
Negli ultimi vent’anni, gli Stati Uniti hanno legalmente varcato i confini con circa 2,9 miliardi di animali provenienti da quasi 30.000 specie diverse, consolidando la propria posizione tra i maggiori consumatori globali nel settore della fauna selvatica. Questo flusso incessante di creature vive e parti di esse è emerso da uno studio pubblicato di recente, evidenziando il ruolo centrale che la potenza nordamericana ricopre nell’alimentare il commercio mondiale degli esseri viventi selvatici.
L’importazione non riguarda solo il mercato degli animali da compagnia, ma abbraccia anche la ricerca medica, la moda, gli acquari, i giardini zoologici e la medicina tradizionale asiatica, creando una rete commerciale tentacolare che, sebbene generi profitti ingenti, genera rischi ambientali, minaccia la biodiversità e favorisce la diffusione di malattie zoonotiche.
Il prezzo nascosto del commercio legale di fauna selvatica
Le importazioni statunitensi di animali esotici non si limitano ad alimentare il settore privato: molti esemplari vengono utilizzati nei laboratori per esperimenti scientifici. Ogni anno, infatti, circa 39.000 macachi attraversano l’oceano per essere destinati a test medici. Nel frattempo, la moda di lusso si appropria delle pelli di coccodrillo, delle squame di serpente e delle pellicce di visone, utilizzandole per prodotti di alta sartoria. La medicina cinese tradizionale continua a richiedere parti di specie rare: tra il 2014 e il 2019, Hong Kong ha registrato che circa il 75% dei prodotti derivanti da specie in via di estinzione importati nella regione erano destinati a questo settore.
Secondo Andrew Rhyne, biologo marino della Roger Williams University nel Rhode Island, il traffico animale coinvolge miliardi di esemplari, coprendo quasi tutto il pianeta, con gli Stati Uniti tra i principali protagonisti. Sebbene molti scambi siano regolamentati, le attività illecite risultano diffuse e pericolose, minacciando la sopravvivenza di specie uniche e destabilizzando ecosistemi delicati.
I mammiferi al vertice degli arrivi, ma i coralli non restano indietro
Uno studio statunitense, basato sui dati raccolti dal Sistema di Informazione sulla Gestione dell’Applicazione della Legge, ha rilevato che i mammiferi terrestri risultano essere gli animali più importati. Al secondo posto emergono gli echinodermi, tra cui spiccano i cetrioli di mare e le stelle marine, mentre il terzo gradino è occupato dai cnidari, gruppo che include coralli e meduse.
La sorpresa più inquietante arriva però dalle origini degli esemplari importati. Oltre la metà degli animali arrivati negli Stati Uniti negli ultimi vent’anni proveniva direttamente dalla natura, quindi strappati dai propri habitat piuttosto che allevati in cattività.
Specie invasive e malattie zoonotiche: il lato oscuro delle frontiere aperte
Il trasporto di animali selvatici da ambiente naturale a paesi lontani comporta gravi conseguenze ambientali e sanitarie. L’introduzione di specie esotiche invasive minaccia le popolazioni autoctone e altera gli equilibri ecologici. Inoltre, il contatto ravvicinato tra fauna selvatica e esseri umani aumenta il pericolo di trasmissione di virus e batteri sconosciuti, creando il terreno fertile per future pandemie.
Tra le vittime del commercio internazionale, spicca il rospo stubfoot della Costa Rica, dichiarato estinto nel 2019. L’intero ecosistema globale paga il prezzo delle catture sconsiderate, con specie incapaci di adattarsi ai cambiamenti climatici a causa delle ridotte popolazioni rimaste in natura.
Il traffico illegale sotto l’occhio delle Nazioni Unite e di Interpol
La Convenzione sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora selvatiche minacciate di estinzione (CITES), firmata nel 1973 da 80 nazioni e oggi sottoscritta da oltre 180 Stati, tra cui tutti i membri dell’Unione Europea e gli Stati Uniti, mira a regolamentare il commercio mondiale di oltre 40.900 specie protette.
Nonostante il trattato internazionale, il mercato nero prospera. Tra il 2015 e il 2021, le forze di sicurezza hanno confiscato circa 13 milioni di articoli illegali, per un peso complessivo di oltre 16.000 tonnellate, coinvolgendo circa 4.000 specie protette, come indicato dall’Ufficio delle Nazioni Unite per la Droga e il Crimine (UNODC).
Nel 2024, una vasta operazione internazionale, coordinata da Interpol e dall’Organizzazione Mondiale delle Dogane, ha portato all’arresto di 365 persone e al salvataggio di oltre 20.000 animali vivi, tra cui uccelli rari, felini, pangolini e tartarughe.
La battaglia infinita tra biodiversità e profitti
La richiesta di fauna selvatica è alimentata dal desiderio umano di possedere l’esotico, ma anche dalla necessità economica delle comunità rurali, specialmente in Africa, dove la vendita di animali e piante rappresenta l’unica fonte di sostentamento. Secondo gli esperti dell’Università di Oxford, vietare indiscriminatamente il commercio di specie a rischio può peggiorare la situazione, portando alla sostituzione di una specie con un’altra ancora più vulnerabile.
Il mercato legale potrebbe essere reso più sostenibile solo attraverso riforme radicali, come il coinvolgimento diretto delle popolazioni indigene nella gestione della fauna locale e la riduzione della domanda da parte dei consumatori occidentali.
Gli Stati Uniti e la responsabilità del futuro
Pur detenendo i dati più avanzati al mondo sulla tracciabilità degli animali selvatici, gli Stati Uniti mostrano ancora zone d’ombra. Gli ispettori doganali si trovano sopraffatti dal volume delle importazioni, rendendo difficile il controllo capillare su ogni singolo carico di specie esotiche.
La sfida per il futuro non riguarda solo il rafforzamento dei controlli ma anche un cambio culturale. Andrew Rhyne lancia un monito: ignorare oggi il problema significherebbe condannare le prossime generazioni a vivere in un mondo impoverito di biodiversità.
Le reti criminali transnazionali continuano a sfruttare l’avidità umana, mettendo a rischio la natura e favorendo nuove emergenze sanitarie globali. In un panorama così complesso, il ruolo degli Stati Uniti si conferma centrale, sia come colpevole sia come potenziale leader per un cambiamento globale.