È uno dei principali gas serra e può avere origine sia da sorgenti naturali, come le paludi, sia da numerose attività umane, tra cui la produzione di combustibili fossili, l’agricoltura e il trattamento delle acque reflue. Il metano è al centro di un recente monitoraggio satellitare condotto con il contributo del satellite Sentinel-5P, parte del programma Copernicus dell’Unione Europea.
L’analisi delle fonti di metano dallo spazio
L’obiettivo dell’indagine è identificare le zone della Terra in cui si registrano emissioni persistenti di metano. I risultati dello studio sono stati pubblicati su Atmosphere, Chemistry and Physics, rivista scientifica della European Geosciences Union, e derivano dalle ricerche di un team dell’Istituto di Fisica Ambientale dell’Università di Brema.
Uno degli aspetti più preoccupanti del metano è la sua elevata capacità di trattenere il calore. Nell’arco di 100 anni, una tonnellata di metano può trattenere fino a 30 volte più calore rispetto a una tonnellata di anidride carbonica. Tuttavia, il metano ha una permanenza nell’atmosfera inferiore rispetto ad altri gas serra, il che significa che una riduzione delle emissioni potrebbe produrre benefici concreti e relativamente rapidi sul clima, anche nell’arco di un decennio.
L’importanza del satellite Sentinel-5P e delle nuove tecnologie
La ricerca si basa sulle rilevazioni effettuate da Tropomi (Tropospheric Monitoring Instrument), un avanzato strumento a bordo di Sentinel-5P. Questo dispositivo consente di mappare globalmente e con frequenza giornaliera la concentrazione del metano nell’atmosfera.
Il team di studiosi ha impiegato anche un nuovo dataset relativo alla distribuzione del gas e un algoritmo innovativo sviluppato dall’Università di Brema per il progetto Greenhouse Gas, nell’ambito dell’ESA Climate Change Initiative. Ulteriori dati sono stati forniti dai progetti Methane Camp e Smart CH-4, finanziati dall’ESA Earth System Science Hub.
Le 217 aree a più alta concentrazione di metano
L’analisi si è concentrata sui livelli di metano misurati nel quadriennio 2018-2021, individuando le aree in cui la concentrazione del gas è risultata costantemente elevata rispetto alle zone circostanti. Sono state identificate 217 aree critiche, situate principalmente in paludi, aree petrolifere e bacini carboniferi.
Successivamente è stata stilata una classifica delle 10 regioni in cui le emissioni risultano più elevate. Questa lista include sia le fonti naturali sopra citate, sia altre legate a attività umane, come discariche, impianti di trattamento delle acque reflue e allevamenti intensivi.
Un contributo fondamentale per la lotta al cambiamento climatico
Grazie all’uso di dati satellitari e algoritmi avanzati, la ricerca offre una panoramica chiara sulle fonti persistenti di metano, fornendo informazioni essenziali per adottare strategie mirate di riduzione delle emissioni. Il monitoraggio proseguirà nei prossimi anni, con l’obiettivo di comprendere meglio le dinamiche delle emissioni di metano e supportare le politiche ambientali globali.