Un’analisi rivoluzionaria rivela che volpi rosse e gatti selvatici non erano soltanto cacciati per la pelliccia, ma rappresentavano una fonte significativa di cibo durante il Neolitico. Questa nuova scoperta, pubblicata su Environmental Archaeology, cambia radicalmente il modo in cui interpretiamo i resti archeologici di piccoli carnivori trovati nei primi insediamenti umani del Levante.
I cacciatori e la transizione al Neolitico
Tra circa 15.000 e 11.700 anni fa, durante il tardo periodo epipaleolitico, i cacciatori-raccoglitori del Levante, una regione che comprende l’attuale Israele, Giordania, Libano e Siria, iniziarono un lento passaggio verso l’agricoltura e l’allevamento. Questo processo, noto come Rivoluzione Neolitica, segnò una delle svolte più significative nella storia dell’umanità.
Nel corso di questa transizione, la caccia ai grandi mammiferi, come il cervo rosso (Cervus elaphus), diminuì a favore di prede più piccole, come le gazzelle, gli uccelli e i pesci. Tuttavia, un’analisi più approfondita dei resti animali rinvenuti nei siti archeologici rivela un quadro ancora più complesso.
Resti di volpi e gatti selvatici: un nuovo significato
Le ossa di piccoli carnivori, come le volpi rosse (Vulpes vulpes) e i gatti selvatici africani (Felis silvestris lybica), sono state rinvenute in abbondanza in diversi insediamenti neolitici del Levante. Nel sito di Aḥihud, situato nella Galilea occidentale, un team di ricercatori guidato da Shirad Galmor ha esaminato 1.244 ossa animali risalenti a circa 10.000 anni fa.
Delle ossa analizzate, circa il 30% apparteneva a gazzelle di montagna, mentre il 12% era costituito da ossa di volpi rosse. Gatti selvatici, martore (Martes foina), manguste egiziane (Herpestes ichneumon), tassi europei (Meles meles) e altri piccoli carnivori costituivano il 16% dei ritrovamenti.
Prove di macellazione e consumo
Un dato particolarmente significativo emerso dall’analisi è la presenza di segni di macellazione su molte delle ossa di volpi e gatti selvatici. Questi segni, concentrati principalmente su omeri e femori, dimostrano che questi animali non erano soltanto scuoiati per la pelliccia, ma anche smembrati e sfilettati per il consumo di carne.
In particolare, il 52% dei segni di taglio sulle ossa di volpe era direttamente collegato alla macellazione, mentre per i gatti selvatici questa percentuale saliva addirittura all’83%. Inoltre, la presenza di segni di bruciatura sulle ossa suggerisce che la carne venisse cotta, confermando il loro utilizzo come fonte alimentare.
Una dieta diversificata
I risultati mostrano che le volpi rosse e i gatti selvatici rappresentavano una risorsa alimentare più importante di quanto si pensasse in passato. Sebbene i grandi erbivori rimanessero una parte fondamentale della dieta, l’integrazione con piccoli carnivori dimostra un adattamento alle risorse disponibili e una maggiore diversificazione alimentare.
Secondo il team di ricerca, gli abitanti di Aḥihud sfruttavano ogni parte dei piccoli carnivori: le pellicce venivano probabilmente utilizzate per abbigliamento o coperture, mentre le ossa potevano essere trasformate in utensili o ornamenti. Questa strategia di sfruttamento completo sottolinea un’elevata capacità di adattamento da parte delle comunità neolitiche.
Implicazioni per la ricerca futura
Questa scoperta apre nuove prospettive nello studio dell’economia animale delle società neolitiche. Volpi, gatti selvatici e altri piccoli carnivori dovrebbero essere considerati una parte integrante della selvaggina, accanto a prede più tradizionali come cervi e gazzelle.
Le implicazioni di questa ricerca vanno oltre il Levante: sottolineano l’importanza di riconsiderare il ruolo di piccoli carnivori in altre aree del mondo durante il Neolitico e di rivalutare l’impatto che questi animali hanno avuto sulla vita delle prime società agricole.
Questi dati, che emergono grazie a tecniche avanzate di analisi, dimostrano quanto ancora ci sia da scoprire sulle abitudini alimentari e culturali delle antiche comunità umane.