All’inizio del XX secolo, Santiago Ramón y Cajal, considerato il “padre della neuroscienza moderna”, dichiarò che i circuiti nervosi negli adulti erano immutabili e incapaci di rigenerarsi. Questa affermazione rappresentò un pilastro fondamentale della neuroscienza fino agli anni ’60. Tuttavia, il dogma fu messo in discussione da Josef Altman, biologo americano che, nel 1962, pubblicò un articolo su Science sostenendo che nei cervelli dei mammiferi adulti si formassero nuovi neuroni. Questa idea, inizialmente accolta con scetticismo, avrebbe cambiato profondamente la comprensione del funzionamento cerebrale.
La creazione di nuove cellule cerebrali: un meccanismo che evolve
Negli ultimi decenni, le prove dell’attività delle cellule staminali neurali nel cervello adulto si sono moltiplicate, spingendo gli scienziati a riconsiderare le capacità rigenerative del sistema nervoso. Studi recenti, condotti su aree come l’ippocampo e la zona subventricolare, hanno utilizzato tecnologie avanzate come il sequenziamento dell’RNA a singola cellula, dimostrando che queste cellule contribuiscono alla formazione della memoria e alla riparazione del cervello.
Questi neuroni neonati svolgono un ruolo cruciale nel rispondere a traumi, come ictus o lesioni cerebrali traumatiche, e nella lotta contro patologie neurodegenerative, tra cui il morbo di Parkinson e l’Alzheimer. Tuttavia, le loro capacità rigenerative tendono a diminuire con l’età, poiché le cellule staminali neurali diventano “dormienti”. Secondo Tyson Ruetz, esperto di medicina rigenerativa, nelle persone anziane queste cellule non si attivano più adeguatamente in risposta ai danni cerebrali, come se un sistema d’allarme fosse ormai guasto.
L’influenza dell’età sul cervello e sulle sue capacità rigenerative
Con l’avanzare dell’età, il metabolismo delle cellule staminali neurali cambia, limitandone l’attività. Studi condotti presso la Stanford University, guidati da Ruetz, hanno analizzato i geni che mantengono queste cellule in uno stato di inattività nei cervelli anziani. Grazie alla tecnologia CRISPR-Cas9, che permette di modificare il DNA con precisione, i ricercatori hanno identificato oltre 300 geni coinvolti in questo processo.
Tra questi, un gene in particolare ha attirato l’attenzione: quello responsabile del trasportatore di glucosio di tipo quattro (GLUT4). La sua eliminazione nei modelli murini ha portato a un incremento significativo dell’attività delle cellule staminali neurali. Questi risultati, pubblicati nell’ottobre scorso sulla rivista Nature, suggeriscono che il metabolismo del glucosio potrebbe essere la chiave per sbloccare le potenzialità rigenerative del cervello invecchiato.
Connessioni tra Alzheimer, metabolismo del glucosio e rigenerazione cerebrale
Il legame tra demenza e metabolismo del glucosio è stato ampiamente studiato. In particolare, nei pazienti affetti da Alzheimer, il cervello mostra un segnalamento del glucosio compromesso, al punto che alcuni studiosi hanno soprannominato questa patologia “diabete di tipo 3”. I risultati ottenuti da Ruetz e colleghi supportano questa teoria, suggerendo che una cattiva regolazione del glucosio e dell’insulina può influire negativamente sulla capacità del cervello di ripararsi.
Alcuni studi clinici hanno dimostrato che la somministrazione di insulina per via nasale migliora l’attività cerebrale nei pazienti con Alzheimer, aprendo nuove prospettive terapeutiche. La ricerca in questo campo ha spinto Ruetz a co-fondare ReneuBio, un’azienda dedicata allo sviluppo di trattamenti volti a potenziare le capacità rigenerative del cervello.
Nuove frontiere della medicina rigenerativa
Le scoperte relative al ruolo del metabolismo nel mantenimento delle cellule staminali neurali potrebbero rivoluzionare il trattamento delle malattie neurodegenerative e i processi di invecchiamento cerebrale. Nel frattempo, ambiente arricchito, stimolazione cognitiva e attività fisica regolare rimangono strumenti preziosi per preservare la salute cerebrale. Come suggerisce Ruetz, la resilienza mentale può essere promossa affrontando nuove sfide e mantenendo il cervello attivo, molto prima che si renda necessario un intervento farmacologico.
Queste ricerche aprono una finestra su un futuro in cui il cervello adulto non sarà più visto come un sistema immutabile, ma come un organo capace di rigenerarsi e adattarsi anche nelle fasi avanzate della vita.