Nel cuore del Parco Nazionale di Nyerere, situato nel sud della Tanzania, una nuova ricerca ha rivoluzionato il modo in cui vengono identificati i leopardi. Grazie a un sistema innovativo basato sulle loro vocalizzazioni, i ricercatori hanno scoperto che il caratteristico “ruggito seghettato” di questi grandi felini può essere utilizzato per riconoscere i singoli individui con un’accuratezza sorprendente.
Le difficoltà nell’identificazione visiva
I leopardi, noti per il loro comportamento solitario e le abitudini notturne, rappresentano una sfida per i ricercatori che cercano di studiarli e proteggerli. La loro natura elusiva, combinata con l’ampiezza del loro habitat, rende particolarmente complicato il monitoraggio visivo. Tuttavia, la necessità di sviluppare metodi efficaci e meno invasivi per l’identificazione di queste specie ha portato all’impiego di nuove tecnologie.
Il progetto di ricerca nel Parco di Nyerere
Tra settembre e novembre del 2023, un team di scienziati ha installato 64 stazioni con trappole fotografiche nel Parco Nazionale di Nyerere, alcune delle quali equipaggiate con unità di registrazione autonome (CARACAL). Questi dispositivi, dotati di quattro microfoni ciascuno, hanno catturato sia immagini che registrazioni audio dei leopardi presenti nel parco.
Attraverso una combinazione di fotografie e vocalizzazioni, i ricercatori hanno potuto associare i ruggiti di specifici individui alle loro immagini catturate dalle trappole fotografiche.
La struttura del ruggito seghettato
I ruggiti dei leopardi, descritti come “seghettati”, presentano una struttura complessa suddivisa in tre fasi. In particolare, la seconda parte del ruggito, caratterizzata da variazioni nel contorno della frequenza fondamentale, è risultata essere un elemento distintivo che consente di riconoscere i singoli individui.
Questa scoperta rappresenta un grande passo avanti, evidenziando come le vocalizzazioni uniche possano diventare uno strumento scientifico per identificare i leopardi senza bisogno di tecniche invasive come il collare satellitare o il monitoraggio diretto.
I risultati dell’analisi
Durante lo studio, i ricercatori hanno analizzato un totale di 191 fotografie di leopardi, riuscendo a identificare 42 individui distinti. Tra questi, 14 leopardi sono stati osservati ruggire entro 10 minuti dalla cattura di una loro immagine. Dopo un’analisi approfondita, il team ha selezionato i dati di 7 leopardi, che includevano 26 episodi di ruggiti e 217 vocalizzazioni individuali.
Grazie a un modello di analisi avanzato, gli studiosi hanno raggiunto un’accuratezza del 93,1% nell’identificazione dei leopardi basandosi esclusivamente sulle loro vocalizzazioni.
Implicazioni per la conservazione
L’utilizzo di registrazioni audio per il monitoraggio dei leopardi potrebbe rappresentare un metodo più economico ed efficace rispetto alle tecniche tradizionali. Questa innovazione non solo migliora la capacità di identificare i singoli individui, ma potrebbe anche essere impiegata per stimare la densità delle popolazioni di leopardi in vaste aree.
Jonathan Growcott, dottorando presso l’Università di Exeter e principale autore dello studio, ha sottolineato come questa scoperta possa aprire nuove prospettive per lo studio dei grandi carnivori e dei loro ecosistemi. La combinazione di tecnologie diverse, come le trappole fotografiche e le registrazioni acustiche, offre un approccio integrato che potrebbe trasformare il modo in cui comprendiamo e proteggiamo la fauna selvatica.
Un futuro di ricerca acustica
Questo progetto rappresenta il primo esempio documentato di utilizzo delle unità di registrazione autonome per monitorare i leopardi. Secondo i ricercatori, l’approccio acustico potrebbe essere esteso anche ad altre specie di grandi carnivori, fornendo un metodo non invasivo per raccogliere dati preziosi.
Oltre a identificare i singoli individui, lo studio delle vocalizzazioni potrebbe fornire informazioni utili su come i leopardi comunicano e utilizzano i suoni nel loro habitat naturale. Questo tipo di ricerca, integrato con altre tecniche innovative, potrebbe contribuire a una comprensione più profonda degli ecosistemi e delle interazioni tra le diverse specie che li abitano.
L’intero studio è stato pubblicato sulla rivista scientifica Remote Sensing in Ecology and Conservation, segnando un importante passo avanti nella scienza della conservazione.