Recenti studi condotti dall’ETH di Zurigo hanno rivelato un meccanismo sorprendente che influenza la distribuzione dell’arsenico nell’atmosfera. Oltre alle fonti antropiche, i processi biologici sembrano avere un ruolo più rilevante di quanto si credesse, aprendo nuove prospettive sulla comprensione di questo elemento tossico.
L’arsenico: una presenza invisibile ma pericolosa
L’arsenico, classificato come cancerogeno di Gruppo 1 dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC), è un elemento naturalmente presente nella crosta terrestre. Nonostante la sua tossicità, piccole quantità di arsenico si trovano ovunque: nel suolo, nell’acqua e persino nell’aria. Secondo le stime, circa 31 tonnellate di arsenico sono sospese nell’atmosfera, principalmente a causa delle attività umane come l’estrazione mineraria, la combustione di combustibili fossili e lo smaltimento di rifiuti industriali.
Negli ultimi decenni, grazie a rigorose normative ambientali adottate in Europa e Nord America, le emissioni antropiche di arsenico sono diminuite. Tuttavia, nonostante questi progressi, i suoi effetti a lungo termine e il suo comportamento nell’atmosfera rimangono questioni aperte, soprattutto in relazione alla sua interazione con i processi naturali.
La scoperta nei Pirenei: un’indagine a 2.877 metri
Il Pic du Midi, una stazione di ricerca situata a quasi 2.900 metri di altitudine nelle montagne dei Pirenei, ha offerto ai ricercatori dell’ETH di Zurigo una posizione privilegiata per monitorare l’arsenico atmosferico, lontano dalle fonti locali di inquinamento. Qui, utilizzando tecniche avanzate di misurazione, gli scienziati hanno analizzato campioni di particolato, nuvole e acqua piovana, rivelando una distribuzione inaspettata di questo elemento tossico.
Uno dei risultati più sorprendenti è stato il livello relativamente alto di arsenico nelle nuvole, sebbene la sua concentrazione fosse comunque insufficiente per rappresentare un rischio immediato per la salute umana. “L’arsenico è estremamente diluito nell’atmosfera,” ha sottolineato il professor Lenny Winkel, leader dello studio. Tuttavia, proprio questa bassa concentrazione ha reso necessario sviluppare tecniche di rilevamento estremamente sensibili.
L’origine dell’arsenico: il contributo del mare e della terra
Utilizzando modelli per tracciare i movimenti delle masse d’aria, il team ha identificato varie fonti di arsenico nei campioni analizzati. In alcuni casi, l’elemento tossico sembrava provenire dal mare, trasportato insieme al cloruro di sodio. In altri, tracce di carbonio organico disciolto indicavano che l’arsenico aveva viaggiato attraverso territori terrestri, raccogliendo materiale biologico come polline, piante o funghi.
“Il carbonio organico disciolto può avere origine sia da processi naturali sia da inquinamento umano, come quello derivante dai trasporti o dalle industrie,” ha spiegato Esther Breuninger, prima autrice dello studio. Questo risultato suggerisce che l’arsenico può essere veicolato da fonti multiple, il che complica ulteriormente il suo monitoraggio.
I processi biologici: una nuova via di trasporto dell’arsenico
La scoperta più significativa dello studio riguarda i composti di arsenico metilato trovati in alcuni campioni di acqua piovana. Questi composti, prodotti da organismi viventi come batteri, alghe e funghi, rappresentano una forma organica dell’arsenico. Questo processo biologico, chiamato metilazione, permette a questi organismi di assorbire l’arsenico inorganico e di trasformarlo in una forma meno tossica, successivamente espulsa nell’ambiente.
Fino a oggi, si pensava che le attività umane, come la combustione di carbone o la fusione di minerali, fossero le principali responsabili della presenza di arsenico nell’atmosfera. Tuttavia, i campioni analizzati hanno mostrato che in alcune circostanze i composti metilati costituiscono la maggior parte dell’arsenico atmosferico, sottolineando l’importanza dei processi biologici nel suo ciclo globale.
Implicazioni per il futuro
Come ha affermato Winkel, “questi risultati indicano che i processi biologici svolgono un ruolo più importante di quanto si pensasse nella distribuzione dell’arsenico.” Questa scoperta avrà implicazioni rilevanti per i futuri modelli di monitoraggio e gestione dell’arsenico atmosferico, richiedendo una maggiore attenzione alla complessa interazione tra fonti naturali e antropiche.
Lo studio, pubblicato su Nature Communications, rappresenta un passo avanti nella comprensione della dinamica globale dell’arsenico, evidenziando la necessità di un approccio multidisciplinare per affrontare le sfide poste da questo elemento pericoloso.