Il 24 novembre 1974, una giornata già calda accoglieva Donald Johanson e il suo studente Tom Gray nel sito di Hadar, in Etiopia. I due erano partiti con l’intento di mappare la zona, ma la curiosità li spinse a cercare eventuali fossili. Nonostante la scarsità di reperti visibili, riuscirono a trovare frammenti di antilopi, gazzelle e persino un pezzo di scimmia. Non esattamente una scoperta promettente per un sito noto per i suoi sedimenti di oltre 3 milioni di anni.
La scoperta di Lucy
Un incontro fortuito
Mentre il sole cocente raggiungeva il suo apice, i due ricercatori decisero di tornare all’auto seguendo un percorso diverso lungo un canalone. Fu in quel momento che Johanson, voltandosi, notò qualcosa di insolito. Su un pendio giaceva un piccolo frammento osseo, che sembrava essere l’ulna prossimale destra di un animale, probabilmente una scimmia. Tuttavia, osservandolo meglio, Johanson si rese conto che apparteneva a un ominide.
Un tesoro nascosto
Esaminando il resto del pendio, Johanson e Gray trovarono altri pezzi: un frammento di cranio, un femore, un bacino, alcune costole e una mandibola con denti. Queste ossa, seppur piccole, rappresentavano solo l’inizio di una scoperta straordinaria. Nei successivi scavi, il team raccolse centinaia di frammenti ossei nel sito ora noto come Afar Locality 288. Alla fine, riuscirono a ricostruire circa il 40% di uno scheletro appartenente a una specie di ominide fino ad allora sconosciuta.
L’importanza di Lucy
Un nome memorabile
La scoperta di Lucy, come venne soprannominata, non fu solo un evento scientifico, ma anche un fenomeno culturale. La sera della scoperta, mentre il team si rilassava nel campo, la canzone “Lucy in the Sky with Diamonds” dei Beatles risuonava alla radio. Convinto che le ossa appartenessero a un individuo femminile, Johanson decise di chiamarla Lucy. Questo nome, semplice e memorabile, divenne rapidamente sinonimo di una delle scoperte più significative nella storia dell’evoluzione umana.
Un contributo alla scienza
Lucy apparteneva alla specie Australopithecus afarensis, un membro del gruppo degli australopitecini, ominidi che vissero in Africa tra 4,1 e 1,4 milioni di anni fa. Prima della scoperta di Lucy, i paleoantropologi conoscevano solo un altro membro di questo gruppo, l’Australopithecus africanus, scoperto nel 1924. Tuttavia, le scoperte fossili erano limitate e poco si sapeva su questi antichi ominidi.
Lucy e l’evoluzione umana
La bipedalità
La natura relativamente completa dello scheletro di Lucy fornì una comprensione senza precedenti della specie. In particolare, il suo scheletro indicava che questi antichi ominidi erano bipedi, camminavano eretti su due gambe, come gli esseri umani moderni. Il femore distale di Lucy, ad esempio, presentava caratteristiche uniche della bipedalità, come l’angolo del suo asse rispetto ai condili, che le permetteva di bilanciarsi su ciascuna gamba mentre camminava.
Un dibattito scientifico
Nonostante l’importanza di queste prove, non tutti furono subito convinti del significato di Lucy. Alcuni membri della comunità scientifica impiegarono del tempo per accettare che si trattasse non solo di una nuova specie di ominide, ma anche di una che camminava eretta. Alcuni ricercatori credevano che Lucy fosse semplicemente “la scimmia che si alzò in piedi”, camminando con fianchi e ginocchia piegate, un modo di camminare poco efficiente.
L’eredità di Lucy
Un nuovo paradigma
In termini di evoluzione umana, la capacità di Lucy di camminare su due gambe suggeriva che gli esseri umani e i loro parenti avessero evoluto la bipedalità prima che i loro cervelli aumentassero di dimensioni. Questo fu un importante cambiamento di paradigma: Lucy aveva l’anatomia per camminare su due gambe, ma la scatola cranica del suo cranio era “molto piccola”, simile a quella di uno scimpanzé.
Domande aperte
A distanza di 50 anni dalla scoperta, Lucy ha contribuito a chiarire aspetti significativi della nostra eredità evolutiva. Tuttavia, molte domande restano ancora senza risposta. Gli scienziati sperano che nei prossimi decenni si possano risolvere i misteri legati all’ambiente in cui Lucy e altri membri della sua specie vivevano, e comprendere perché alcune specie di antichi ominidi si estinsero mentre altre sopravvissero.
Il futuro della ricerca
Nuove scoperte
Nel corso degli anni, Lucy e le scoperte successive hanno ampliato la nostra comprensione dell’evoluzione umana. Tuttavia, ci sono ancora molte domande riguardanti lo sviluppo dell’intelligenza umana e il momento in cui i nostri cervelli iniziarono a crescere in dimensioni. Gli strumenti più antichi risalgono a oltre 2,6 milioni di anni fa, ma non si osserva un’espansione significativa del cervello fino a circa 2 milioni di anni fa. Gli scienziati sono interessati a capire non solo quali cambiamenti avvennero, ma anche perché si verificarono.
Un’eredità duratura
Queste sono solo alcune delle domande che i paleoantropologi stanno esplorando attualmente. Forse troveranno risposta nel prossimo futuro, o forse ci vorrà più tempo. Sarà interessante vedere se Lucy avrà un ruolo in queste scoperte o se i nuovi risultati arricchiranno ulteriormente la nostra conoscenza di questo enigmatico individuo.