La malattia di Alzheimer è una delle patologie neurodegenerative più diffuse e devastanti, caratterizzata dalla progressiva perdita di memoria e di altre funzioni cognitive. Nonostante gli sforzi della ricerca scientifica, ad oggi non esiste una cura definitiva per questa malattia. Tuttavia, un recente studio condotto dai ricercatori dell’Università del Colorado Anschutz Medical Campus ha aperto una nuova strada promettente per il trattamento dell’Alzheimer, focalizzandosi su un approccio terapeutico alternativo rispetto alle strategie tradizionali.
La scoperta di un nuovo bersaglio terapeutico
Gli scienziati dell’Università del Colorado Anschutz Medical Campus hanno identificato un potenziale metodo per contrastare i danni alle sinapsi e alle spine dendritiche spesso osservati nella malattia di Alzheimer. Lo studio, pubblicato di recente sulla rivista eNeuro, ha evidenziato come l’inibizione di una proteina chiamata Mdm2 con un farmaco sperimentale noto come nutlin, possa fermare l’eccessiva potatura delle sinapsi causata dai peptidi neurotossici amiloide-beta, che si accumulano nella malattia di Alzheimer (AD).
Comprendere il meccanismo
Il professor Mark Dell’Acqua, autore senior dello studio e vicepresidente del Dipartimento di Farmacologia della CU School of Medicine, ha spiegato che la potatura delle spine dendritiche sinaptiche è un processo normale nel cervello post-natale, ma può essere accelerato in modo anomalo nell’AD, causando la perdita di memoria e di apprendimento. “Quando questa proteina Mdm2 è attivata in modo inappropriato, porta alla potatura delle sinapsi in presenza di amiloide-beta”, ha affermato. L’amiloide-beta è il principale componente delle placche amiloidi trovate nei cervelli di coloro che soffrono di AD. “Quando abbiamo utilizzato il farmaco che inibisce Mdm2 sui neuroni, ha completamente bloccato la perdita di spine dendritiche innescata dall’amiloide-beta. Quindi, inibire questa proteina sta chiaramente funzionando.”
Potenziale per nuove terapie contro l’AD
Dell’Acqua, direttore del Neurotechnology Center della CU School of Medicine, ha notato che gran parte della ricerca sulle terapie per l’AD tende a concentrarsi sull’eliminazione delle placche amiloidi nel cervello. “Ci sono dubbi se la terapia anti-amiloide sia la soluzione definitiva per la terapia dell’AD”, ha detto. “Anche se si potesse tollerare l’alto costo, l’efficacia è discutibile. Stiamo dicendo che potrebbe essere possibile intervenire nel processo bloccando alcuni degli impatti dell’amiloide-beta. E si potrebbe intervenire prendendo di mira Mdm2.”
Il prossimo passo
Il passo successivo è determinare se sia possibile bloccare la progressione dell’AD in un modello animale. In caso affermativo, potrebbero essere avviati trial clinici sull’uomo in futuro. I farmaci che prendono di mira Mdm2 sono già sviluppati e in sperimentazione clinica per il cancro, ma necessitano ancora dell’approvazione della FDA.
Un primo passo incoraggiante
“Questo è un primo passo incoraggiante che ci offre una nuova pista da seguire”, ha affermato Dell’Acqua. La ricerca continua a progredire e, con questa nuova scoperta, si apre una luce di speranza per tutti coloro che sono affetti dalla malattia di Alzheimer e per le loro famiglie. La possibilità di sviluppare terapie innovative che possano effettivamente arrestare la progressione della malattia rappresenta un obiettivo fondamentale per migliorare la qualità della vita dei pazienti e per offrire una risposta concreta a una delle sfide più grandi della medicina moderna.