Il Rapamycin è una sostanza che sta emergendo come una delle più promettenti nel campo dell’anti-invecchiamento. Il suo nome deriva da “Rapa Nui”, la denominazione locale dell’Isola di Pasqua, luogo in cui è stato scoperto come prodotto metabolico di batteri presenti in un campione di terreno. Questo farmaco, solitamente impiegato nel trattamento del cancro e nella cura post-trapianto d’organo, ha dimostrato di poter prolungare sia la durata della vita che la qualità della salute negli animali da laboratorio.
Meccanismi di azione e prevenzione degli effetti collaterali
Comprendere come il Rapamycin riesca a estendere la durata della vita è fondamentale per prevenire effetti collaterali indesiderati. “Sappiamo che il Rapamycin prolunga la vita attraverso due meccanismi: l’aumento dell’autofagia e la diminuzione dell’attività di una proteina chiamata S6K. È stato dimostrato che i topi con un’attività alterata di S6K vivono più a lungo. Tuttavia, il meccanismo attraverso il quale S6K estende la vita non è chiaro”, afferma Sebastian Grönke, coautore dello studio.
Funzione immunitaria migliorata nella vecchiaia grazie agli endolisosomi
I ricercatori hanno dimostrato che un’attività alterata di S6K influenza gli endolisosomi. Questi ultimi sono responsabili della degradazione del materiale all’interno delle cellule e svolgono un ruolo importante nella regolazione di vari processi cellulari, come le reazioni infiammatorie.
“Quando abbiamo soppresso l’attività di S6K o il segnale infiammatorio nel corpo adiposo, le mosche hanno vissuto più a lungo, mostrato una migliore funzione immunitaria in età avanzata e sono state in grado di eliminare le infezioni batteriche più efficacemente”, spiega Pingze Zhang, primo autore dello studio.
“Infine, presumiamo che gli endolisosomi prevengano l’aumento legato all’età dei fattori pro-infiammatori e che sia proprio qui che il Rapamycin esercita la sua azione”, conclude Sebastian Grönke.
Syntaxin 13: un collegamento trovato anche nei topi
I ricercatori hanno inoltre identificato un importante collegamento tra il sistema endolisosomale e l’infiammazione legata all’età: la proteina syntaxin 13.
Questa proteina è aumentata nel fegato dei topi trattati con Rapamycin, suggerendo che la regolazione del sistema endolisosomale e il controllo dei percorsi infiammatori durante l’invecchiamento siano simili tra mosche e topi.
Implicazioni future e ricerca
Lo studio, pubblicato su Nature Aging il 27 febbraio 2024, apre nuove prospettive nella comprensione dell’invecchiamento e nella ricerca di terapie anti-invecchiamento. La scoperta del ruolo degli endolisosomi e della proteina syntaxin 13 potrebbe portare allo sviluppo di nuovi trattamenti in grado di migliorare la qualità della vita nelle persone anziane, riducendo l’infiammazione e le malattie correlate all’età.
In conclusione, il Rapamycin si conferma come una sostanza di grande interesse nel campo dell’anti-invecchiamento, con potenziali applicazioni che vanno oltre il trattamento del cancro e la cura post-trapianto. La ricerca futura si concentrerà sull’approfondimento dei meccanismi molecolari coinvolti e sulla possibile traslazione dei risultati ottenuti negli animali da laboratorio all’uomo.