La storia dell’umanità è costellata di migrazioni e spostamenti che hanno portato i nostri antenati a colonizzare ogni angolo del pianeta. Una delle migrazioni più significative è stata quella che ha visto gli esseri umani moderni lasciare l’Africa per diffondersi nel resto del mondo. Tradizionalmente, si è pensato che questi spostamenti avvenissero durante periodi di abbondanza, quando le condizioni ambientali erano favorevoli. Tuttavia, una recente ricerca condotta da scienziati dell’Arizona State University (ASU) suggerisce che le migrazioni potrebbero essere avvenute anche attraverso percorsi aridi, definiti “autostrade blu”, creati dai fiumi stagionali. Questo studio, pubblicato sulla rivista Nature, getta nuova luce sulla flessibilità comportamentale degli esseri umani primitivi e sulla loro capacità di adattarsi ai cambiamenti ambientali, anche in seguito all’eruzione del supervulcano Toba, avvenuta circa 74.000 anni fa.
La ricerca ha preso in esame il sito di Shinfa-Metema 1, situato nelle terre basse dell’attuale Etiopia nordoccidentale, lungo il fiume Shinfa, un affluente del Nilo Azzurro. Qui, gli scienziati hanno scoperto prove che dimostrano come gli esseri umani primitivi siano riusciti a sopravvivere all’eruzione del Toba, uno dei più grandi supervulcani della storia, adattandosi alle conseguenti modifiche dell’ambiente. Questa capacità di adattamento potrebbe aver facilitato la successiva dispersione degli esseri umani moderni fuori dall’Africa e in tutto il resto del mondo.
Il team di ricerca ha indagato il sito di Shinfa-Metema 1, scoprendo che la popolazione umana presente 74.000 anni fa era riuscita a sopravvivere all’eruzione del Toba grazie alla sua flessibilità comportamentale. Questa scoperta conferma i risultati ottenuti in precedenza nel sito di Pinnacle Point, in Sudafrica, dove si era osservato che, nonostante i cambiamenti ambientali causati dall’eruzione, le popolazioni umane si erano adattate e avevano sopravvissuto.
Uno degli aspetti più innovativi di questa ricerca è l’uso della criptotefra, frammenti di vetro vulcanico di dimensioni comprese tra 80 e 20 micron, per datare con precisione gli strati archeologici. Questa metodologia permette di correlare siti distanti migliaia di chilometri con una risoluzione temporale di poche settimane, piuttosto che di migliaia di anni.
La ricerca di criptotefra nei siti archeologici è un’operazione meticolosa e richiede grande attenzione ai dettagli. Nonostante la difficoltà di trovare questi minuscoli frammenti, la possibilità di correlare siti distanti e di datare eventi con tale precisione rende il lavoro estremamente gratificante.
I metodi per identificare la criptotefra a bassa abbondanza sono stati sviluppati inizialmente all’Università del Nevada a Las Vegas e successivamente perfezionati all’Arizona State University nel Laboratorio di Preparazione di Sedimenti e Tefra (STEP Lab). La collaborazione con laboratori nel Regno Unito ha permesso di affinare ulteriormente queste tecniche, rendendo possibile l’uso della tefrocronologia per collegare i record archeologici e paleoambientali e inserirli sulla stessa linea temporale.
Le scoperte fatte nel sito di Shinfa-Metema 1 non solo forniscono nuove informazioni sulla dispersione umana dall’Africa, ma offrono anche una prospettiva più ampia sulla capacità di adattamento degli esseri umani primitivi. La presenza di strumenti in pietra e prove di cottura indicano che questi antichi abitanti cacciavano una varietà di animali terrestri e utilizzavano il fuoco in modo controllato. In particolare, i punti di freccia in pietra rinvenuti, datati a 74.000 anni fa, rappresentano la più antica evidenza di uso dell’arco.