La morte è un fenomeno che da sempre affascina e spaventa l’umanità. Spesso vista come un evento improvviso e definitivo, la scienza moderna ci insegna che in realtà si tratta di un processo graduale, che coinvolge una serie di cambiamenti nell’attività cerebrale. Questi cambiamenti includono l’esaurimento dell’ATP, il carburante delle cellule, e un’impennata delle onde cerebrali, culminando nella cosiddetta “onda della morte”. Ma cosa succede esattamente nel cervello quando si avvicina la morte? E soprattutto, è possibile invertire questo processo?
Il cervello senza ossigeno
Quando il cervello smette di ricevere ossigeno, le sue riserve di ATP si esauriscono rapidamente. Questo provoca uno squilibrio elettrico nei neuroni e un massiccio rilascio di glutammato, un neurotrasmettitore eccitatorio essenziale nel sistema nervoso. “I circuiti neurali sembrano spegnersi inizialmente… Poi assistiamo a un’impennata dell’attività cerebrale, in particolare un aumento delle onde gamma e beta”, spiega Séverine Mahon, ricercatrice in neuroscienze. “Queste onde sono solitamente associate a un’esperienza cosciente. In questo contesto, potrebbero essere coinvolte nelle esperienze di pre-morte riportate da persone che hanno sopravvissuto a un arresto cardiorespiratorio”.
La “onda della morte”
Dopo questo picco di attività, i neuroni iniziano a diminuire gradualmente la loro attività fino a raggiungere uno stato di silenzio elettrico perfetto, corrispondente a un elettroencefalogramma piatto. Tuttavia, questo silenzio viene rapidamente interrotto dalla depolarizzazione dei neuroni, che prende la forma di un’onda ad alta ampiezza conosciuta come “onda della morte”, che altera la funzione e la struttura del cervello. “Questo evento critico, chiamato depolarizzazione anossica, induce la morte neuronale in tutto il cortex. Come un canto del cigno, è il vero marcatore di transizione verso la cessazione di tutta l’attività cerebrale”, aggiunge Antoine Carton-Leclercq, dottorando e primo autore dello studio.
Seguire il percorso dell’onda della morte
Per rispondere a queste domande, i ricercatori hanno utilizzato, nei ratti, misurazioni dei potenziali di campo locale e registrazioni dell’attività elettrica di singoli neuroni in diversi strati della corteccia somatosensoriale primaria, un’area che svolge un ruolo cruciale nella rappresentazione del corpo e nell’elaborazione delle informazioni sensoriali. Hanno poi confrontato l’attività elettrica di questi diversi strati prima e durante la depolarizzazione anossica.
L’attività neuronale omogenea
“Abbiamo notato che l’attività neuronale era relativamente omogenea all’inizio dell’anossia cerebrale. Poi, l’onda della morte è apparsa nei neuroni piramidali situati nello strato 5 del neocortex e si è propagata in due direzioni: verso l’alto, cioè la superficie del cervello, e verso il basso, cioè la sostanza bianca”, spiega Séverine Mahon. “Abbiamo osservato questa stessa dinamica in diverse condizioni sperimentali e crediamo che possa esistere anche negli esseri umani”.
La vulnerabilità degli strati più profondi
Questi risultati suggeriscono inoltre che gli strati più profondi della corteccia sono i più vulnerabili alla privazione di ossigeno, probabilmente perché i neuroni piramidali dello strato 5 hanno bisogni energetici eccezionalmente elevati. Tuttavia, quando i ricercatori hanno riossigenato il cervello dei ratti, le cellule hanno ricostituito le loro riserve di ATP, portando alla ripolarizzazione dei neuroni e al ripristino dell’attività sinaptica.
“Questo nuovo studio fa progredire la nostra comprensione dei meccanismi neurali che sottostanno ai cambiamenti nell’attività cerebrale mentre si avvicina la morte. È ormai stabilito che, dal punto di vista fisiologico, la morte è un processo che si prende il suo tempo… e che attualmente è impossibile dissociarla rigorosamente dalla vita. Sappiamo anche che un EEG piatto non significa necessariamente la cessazione definitiva delle funzioni cerebrali”, conclude il Prof. Stéphane Charpier, capo del team di ricerca. “Ora dobbiamo stabilire le condizioni esatte in cui queste funzioni possono essere ripristinate e sviluppare farmaci neuroprotettivi per supportare la rianimazione in caso di insufficienza cardiaca e polmonare”.