Il batterio gigante visibile ad occhio nudo
Il mondo dei batteri è vasto e variegato, con dimensioni e caratteristiche che possono variare notevolmente. Tuttavia, una recente scoperta ha portato alla luce un batterio gigante, l’Epulopiscium viviparus, che vive all’interno dei pesci chirurgo e presenta adattamenti metabolici unici e metodi di produzione energetica innovativi. Questo studio, condotto da ricercatori della Cornell University e del Lawrence Berkeley National Laboratory, ha decifrato per la prima volta il genoma completo di questa specie, rivelando potenziali applicazioni nel campo della nutrizione a base di alghe e dell’energia.
La scoperta e lo studio di un batterio gigante
L’Epulopiscium viviparus è stato scoperto per la prima volta nel 1985 e da allora ha suscitato grande interesse nella comunità scientifica. Questo batterio, che vive in simbiosi all’interno del tratto intestinale di alcuni pesci chirurgo in ambienti tropicali come la Grande Barriera Corallina e il Mar Rosso, è abbastanza grande da essere visibile ad occhio nudo e ha un volume un milione di volte superiore a quello dei suoi cugini più noti, come l’E. coli.
L’habitat e le caratteristiche dell’Epulopiscium viviparus
A causa delle sue dimensioni gigantesche, gli scienziati inizialmente credevano che l’Epulopiscium viviparus fosse un tipo distinto di protozoo. Il nome Epulopiscium deriva dalle radici latine “epulo”, che significa “ospite”, e “piscium”, “di un pesce”. A differenza della maggior parte dei batteri che si riproducono dividendo se stessi a metà per creare due discendenti, l’E. viviparus crea fino a 12 copie di se stesso, che crescono all’interno di una cellula madre e poi vengono rilasciate, “attive e nuotanti – viviparus significa ‘nascita vivente’”.
Metodologia di ricerca
Lo studio di questi batteri giganti richiede la cattura dei pesci in cui vivono e la conservazione delle cellule o l’estrazione del DNA e dell’RNA il più rapidamente e accuratamente possibile. La collaborazione decennale con i biologi dei pesci della Lizard Island Research Station in Australia ha permesso di raccogliere e studiare campioni preziosi.
Adattamenti genetici e produzione energetica
Intuizioni metaboliche
Gli scienziati erano particolarmente interessati a scoprire come l’E. viviparus soddisfacesse le sue esigenze metaboliche estreme. I batteri che si nutrono di nutrienti presenti nel loro ambiente, anziché creare la propria energia dalla luce solare, generalmente si dividono in due gruppi: quelli che hanno accesso all’ossigeno e quelli che non ne hanno. Senza ossigeno, i batteri spesso utilizzano la fermentazione per estrarre energia, e “gli organismi fermentanti semplicemente non ottengono lo stesso rendimento dai nutrienti”, ha affermato la professoressa Esther Angert, autrice corrispondente dello studio.
Adattamenti genetici e produzione energetica
I ricercatori hanno scoperto che l’E. viviparus ha modificato il suo metabolismo per sfruttare al meglio il suo ambiente, utilizzando un metodo raro per produrre energia e per muoversi (lo stesso metodo di nuoto è utilizzato dai batteri che causano il colera) e dedicando una grande parte del suo codice genetico alla produzione di enzimi in grado di raccogliere i nutrienti disponibili nell’intestino del suo ospite. Tra gli enzimi più prodotti ci sono quelli utilizzati per produrre ATP, la valuta energetica di tutte le cellule. Una membrana altamente ripiegata che corre lungo il bordo esterno dell’E. viviparus fornisce spazio importante per le proteine che producono e trasportano energia, con alcune sorprendenti somiglianze con il funzionamento dei mitocondri nelle cellule di organismi più complessi.
Potenziali applicazioni e ricerche future
Questa ricerca di base ha una serie di potenziali applicazioni future, in particolare poiché l’E. viviparus ha strategie così efficaci per sfruttare i nutrienti presenti nelle alghe. Le alghe sono un obiettivo in crescita per l’alimentazione del bestiame, l’energia rinnovabile e la nutrizione umana, poiché la loro crescita non compete con l’agricoltura terrestre.
Il primo autore dello studio è David Sannino, Ph.D. ’17, un ex ricercatore post-dottorato nel laboratorio di Angert. Altri co-autori sono Francine Arroyo, Ph.D. ’19 e gli ex ricercatori post-dottorato Charles Pepe-Ranney e Wenbo Chen; e Jean-Marie Volland e Nathalie Elisabeth, entrambi del Lawrence Berkeley National Laboratory.
Questa ricerca è stata supportata dalla National Science Foundation e dal Department of Energy.