Il telescopio spaziale James Webb (Jwst) ha permesso di individuare il buco nero più antico mai osservato fino ad oggi. Si trova nella galassia Gn-z11 e risale a circa 400 milioni di anni dopo il Big Bang, ovvero a 13,2 miliardi di anni fa. Questa scoperta, pubblicata sulla rivista Nature e guidata dall’italiano Roberto Maiolino, mette in discussione le teorie esistenti sulla formazione e crescita dei buchi neri.
Le caratteristiche del buco nero
Il buco nero in questione ha una massa di qualche milione di volte quella del Sole e la sua esistenza in un’epoca così remota dell’universo solleva interrogativi sulle teorie tradizionali. Secondo i modelli standard, i buchi neri supermassicci si formerebbero dai resti di stelle morte e impiegherebbero miliardi di anni per raggiungere le dimensioni attuali. Tuttavia, questo buco nero aveva già una massa considerevole quando l’universo aveva meno di un miliardo di anni, suggerendo una possibile via evolutiva unica.
La galassia ospite Gn-z11
La galassia Gn-z11, che ospita il buco nero, è circa cento volte più piccola della Via Lattea e brilla grazie all’energia emessa dal buco nero al suo centro. I buchi neri non possono essere osservati direttamente, ma vengono rilevati dal bagliore di un disco di accrescimento che si forma vicino al loro bordo. Il gas nel disco diventa estremamente caldo e inizia a brillare, emettendo energia nell’ultravioletto, permettendo così agli astronomi di individuare i buchi neri.
Le implicazioni della scoperta
La scoperta del buco nero più antico ha importanti implicazioni per la comprensione dell’universo e della formazione dei buchi neri.
La voracità del buco nero
Il buco nero attivo di Gn-z11 sta consumando materiale dalla galassia ospite a una velocità molto maggiore rispetto ai buchi neri formatisi in epoche successive. Questo consumo eccessivo potrebbe portare alla formazione di un “vento ultra veloce” che blocca il processo di formazione delle stelle, mettendo a rischio l’esistenza stessa del buco nero e della galassia ospite.
La nuova era dell’astronomia
Per Roberto Maiolino, la scoperta rappresenta il momento più emozionante della sua carriera e segna l’inizio di una nuova era nell’astronomia. La sensibilità del telescopio Jwst potrebbe portare alla scoperta di buchi neri ancora più antichi nei prossimi mesi e anni. Il team di ricerca intende continuare a sfruttare il telescopio per cercare “semi” più piccoli di buchi neri e ricostruire i processi di formazione.
In conclusione, la scoperta del buco nero più antico ha aperto nuove frontiere nella ricerca astronomica e ha messo in discussione le teorie esistenti sulla formazione dei buchi neri. La sensibilità del telescopio Jwst promette ulteriori scoperte emozionanti e una maggiore comprensione dell’universo e dei suoi misteri.