La Controversia dei Crediti di Carbonio
Il dibattito sui crediti di carbonio è acceso: mentre alcuni li vedono come la soluzione alla crisi climatica, altri li denunciano come pericolose truffe di “greenwashing”.
Che cosa sono i Crediti di Carbonio?
I crediti di carbonio sono considerati da molti come dei permessi negoziabili che aziende, individui o nazioni possono acquistare per compensare le proprie emissioni di carbonio. Se un’organizzazione produce una certa quantità di emissioni, può acquistare un equivalente in progetti di riduzione dei gas serra, come la riforestazione o il finanziamento di energie rinnovabili, per bilanciare il proprio impatto ambientale. Questo sistema dovrebbe permettere all’organizzazione di dichiararsi a impatto zero o a bassa emissione, nonostante continui a immettere carbonio nell’atmosfera.
Un Mercato in Espansione
Con l’avvio della COP28, si prevede un’espansione significativa del mercato dei crediti di carbonio. Leader mondiali, grandi aziende e media si sono riuniti a Dubai per la conferenza sul clima delle Nazioni Unite, con l’aspettativa che questo evento possa dare un forte impulso a tale mercato.
Le Critiche e le Preoccupazioni
Accuse di Greenwashing
Nonostante alcuni sostengano che i crediti di carbonio rappresentino un modo pratico e realistico per affrontare il cambiamento climatico, il settore è pieno di critiche. Una delle principali è che questi crediti fungano da trucco per apparire più “verdi” di quanto non si sia in realtà, permettendo alle organizzazioni di mascherare le proprie pratiche inquinanti.
Il Prezzo della Natura
Un’altra grave accusa è che i crediti di carbonio mettano un prezzo sulla natura, trattando le terre delle comunità indigene e locali come una riserva di carbonio che può essere comprata e venduta, consentendo agli inquinatori di continuare a inquinare. In altre parole, spesso i crediti di carbonio sono visti come licenze per appropriazioni di terre.
Il Caso del Progetto in Kenya
Un rapporto pubblicato da Survival International ha esaminato un progetto pilota di crediti di carbonio chiamato Northern Kenya Grassland Carbon Project, che mirava a migliorare la salute delle praterie e a sequestrare carbonio nel suolo in una parte del Kenya abitata da oltre 100.000 persone indigene Samburu, Borana e Rendille. Tra i clienti che hanno acquistato crediti di questo schema figurano aziende come Meta e Netflix. L’ONG ha concluso che il progetto stava interrompendo i sistemi tradizionali di pascolo degli indigeni, sostituendoli con un sistema centralizzato più simile all’allevamento commerciale, senza che le popolazioni locali avessero dato il loro consenso informato e preventivo.
Diritti Umani e “Blood Carbon”
Survival International ha addirittura suggerito che gli schemi di crediti di carbonio potrebbero aumentare gli abusi sui diritti umani, da qui il termine “Blood Carbon”. I progetti di restauro del territorio realizzati in nome dei crediti di carbonio potrebbero portare alla trasformazione delle terre delle comunità indigene e locali in Aree Protette, con il rischio di vedere queste persone allontanate dalle loro terre ancestrali con l’uso della violenza.
In conclusione, mentre la COP28 potrebbe rappresentare un’opportunità per affrontare seriamente le cause del cambiamento climatico, esiste il rischio che si trasformi nella “COP del Blood Carbon”, dove governi, imprese e ONG ambientaliste potrebbero collaborare per rafforzare il mercato dei crediti di carbonio, piuttosto che risolvere le vere cause della crisi climatica, con conseguenze disastrose per i popoli indigeni.