Un’idea comune tra gli scienziati è che le persone in sovrappeso o obese abbiano maggiori probabilità di sopravvivere dopo l’insufficienza cardiaca, il cosiddetto “paradosso dell’obesità”. Tuttavia, una nuova ricerca pubblicata sull’European Heart Journal ha dimostrato che questa teoria è falsa.
I ricercatori dell’Università di Glasgow hanno analizzato un campione di 1.832 donne e 6.567 uomini che erano stati ricoverati in ospedale per insufficienza cardiaca. Inizialmente, hanno osservato che i pazienti con un indice di massa corporea (BMI) più alto avevano maggiori probabilità di sopravvivenza dopo la malattia. Ma dopo aver considerato altri fattori come il rapporto vita-altezza, il rapporto vita-fianchi, la circonferenza vita e i biomarcatori come i peptidi natriuretici, la correlazione tra BMI e sopravvivenza è crollata rapidamente.
Inoltre, i ricercatori hanno trovato una forte correlazione tra BMI elevato, rapporto vita-altezza elevato e insorgenza di insufficienza cardiaca, indicando una relazione negativa tra questi fattori.
Il professor John McMurray, autore principale dello studio, ha dichiarato: “Sapevamo che l’obesità doveva essere un male piuttosto che un bene. Abbiamo ritenuto che parte del problema fosse che il BMI era un debole indicatore della quantità di tessuto adiposo di un paziente”.
Questi risultati sollevano domande sul BMI come metrica medica e sottolineano la necessità di esplorare altre misure come alternative. Inoltre, il professor Stephan von Haehling ha evidenziato che il BMI potrebbe non essere un indicatore accurato dei rischi per la salute legati all’obesità, come dimostrato dal fatto che persone con diversi livelli di massa muscolare possono avere lo stesso BMI.
In definitiva, la ricerca ha dimostrato che il “paradosso dell’obesità” non esiste e che la sopravvivenza dopo l’insufficienza cardiaca non è correlata al BMI. È necessario approfondire le metriche mediche utilizzate per misurare l’obesità e i rischi per la salute associati.
Ma quali sono le implicazioni cliniche di questi risultati? Secondo il professor McMurray, i medici dovrebbero smettere di utilizzare il BMI come metrica principale per la valutazione del rischio cardiovascolare e considerare invece la misura della circonferenza vita e il rapporto vita-altezza. Questi parametri, infatti, sembrano essere più indicativi della quantità di grasso addominale, che è notoriamente associato a un aumento del rischio di malattie cardiache e metaboliche.
In ogni caso, il paradosso dell’obesità sembra essere un mito da sfatare. Anche se il sovrappeso e l’obesità possono fornire una certa protezione in alcune situazioni, come nella malattia coronarica acuta, ci sono molti altri fattori di rischio associati all’eccesso di grasso corporeo che non dovrebbero essere ignorati. In ultima analisi, la prevenzione dell’obesità e del sovrappeso rimane un obiettivo cruciale per la salute pubblica.
Il nuovo studio, pubblicato sull’European Heart Journal, è solo l’ultimo di una serie di lavori che mettono in discussione il ruolo del BMI come indicatore affidabile dell’obesità e del rischio cardiovascolare. Sebbene la correlazione tra il BMI e il rischio di malattie cardiache sia ben documentata, molti scienziati stanno ora cercando di identificare metriche alternative che possano fornire una valutazione più accurata del grasso corporeo e del rischio di malattia.
In conclusione, la ricerca ha dimostrato che il paradosso dell’obesità è probabilmente un mito. Utilizzando il rapporto vita-altezza invece del BMI, i ricercatori hanno scoperto che la correlazione tra l’eccesso di peso e la sopravvivenza dopo l’insufficienza cardiaca scompare. Questi risultati suggeriscono che il BMI non è un forte indicatore dei rischi per la salute legati all’obesità, e i medici dovrebbero considerare metriche alternative come la circonferenza vita e il rapporto vita-altezza per la valutazione del rischio cardiovascolare. Infine, nonostante il paradosso dell’obesità sembri essere un mito, l’obesità e il sovrappeso rimangono fattori di rischio importanti per la salute pubblica, e la prevenzione di queste condizioni rimane un obiettivo cruciale per la salute globale.