Sicurezza energetica, tutela dell’ambiente e accessibilità dei costi di energia erano gli obiettivi dell’Unione Europea e dell’Italia a dicembre 2019. Nel frattempo il coronavirus e la guerra hanno profondamente cambiato gli scenari geopolitici del mondo e inferto uno scossone a questi obiettivi.
Molti leader italiani hanno cominciato ad ammettere grossi errori e ritardi nella pianificazione energetica. Poco è stato fatto per la preventiva neutralizzazione dei rischi legati all’approvvigionamento e costi delle materie prime fossili che l’Italia importa in gran parte dall’estero.
Si è tornati a discutere di energia nucleare e, quindi, di uranio, non solo in relazione al rinnovato pericolo atomico tanto minacciato da Putin, ma anche come fattore di soluzione alla crisi energetica attuale.
Nel frattempo l’Italia, sempre in ritardo su tutto, sta cercando di risolvere il problema annoso dello stoccaggio delle scorie nucleari in un Deposito nazionale che aveva scadenza agosto 2015. Per il 2025 è previsto il rientro nel ‘Belpaese’ delle scorie per anni mandate in Francia e Gran Bretagna.
Come viene estratto l’uranio
Ma se questa è la situazione del dibattito politico nazionale quali caratteristiche ha l’uranio, il misterioso elemento metallico su cui si fonda il nucleare? L’uranio è un elemento molto diffuso sulla Terra, con riserve abbondanti e disponibili in un numero maggiore di paesi rispetto al petrolio.
Le maggiori riserve si concentrano in particolar modo in Australia, Kazakhstan, Canada e Russia. Ancora si osserva che Russia e stati satellite compresa l’Ucraina, si aggirano a possederne circa il 23% delle riserve mondiali.
Si può estrarre uranio da circa 150 minerali, ma due sono quelli più significativi: l’uraninite, il cui nome commerciale è pechblenda, e la carnotite. Esso è di circa il 65% più denso del piombo e ha tre isotopi.
Da un lato abbiamo l’isotopo 235 con 92 protoni e 143 neutroni, che è il più adatto alla fissione nucleare. Poi c’è l’isotopo 238, ben più comune, con 92 protoni e 146 neutroni. Infine c’è l’isotopo 234 o uranio impoverito.
Nelle rocce ricche di uranio generalmente le percentuali sono dello 0,7% per l’isotopo 235 e del 93,3% per l’isotopo 238. Pertanto per rendere il metallo idoneo alla fissione si procede al suo ‘arricchimento’. Si tratta di un processo complesso che si ottiene per diffusione gassosa o per centrifuga a gas.
Riserve di uranio sufficienti per oltre 100 anni
Questo significa portare la percentuale di U 235 intorno al 3/7% rispetto a quella di U 238. Alla fine da circa 12 kg di uranio naturale si ottengono all’incirca 1 kg di uranio arricchito al 5%. Stando così le cose, è possibile stimare la disponibilità delle attuali riserve mondiali di uranio a circa 100 anni.
La disponibilità è quindi inferiore rispetto a quello del carbone che si aggira intorno ai 200 anni, mentre risulta essere il doppio di quella del petrolio e del gas naturale che si aggira rispettivamente intorno ai 53 e 59 anni.
Se passiamo a discutere di risorse, cioè dei depositi indicati come probabili ma sfruttabili a costi non competitivi o che ancora non sono stati identificati con certezza, e non più solo di riserve, invece, i tempi di disponibilità di questa materia prima esauribile si allungano a ben oltre i 100 anni.
Se la nostra tranquillità, pertanto, è rafforzata, nonostante i mille problemi di stoccaggio delle scorie radioattive, dall’uso di uranio in contesti civili come centrali nucleari, uso ospedaliero, datazione di reperti archeologici, a renderci meno tranquilli, invece, è il suo uso bellico.
Bombe atomiche e termonucleari, reattori di sottomarini nucleari, proiettili ad uranio impoverito, corazzature di carri armati e munizioni anticarro sconvolgono ormai, in maniera sempre più frequente e concreta, la serenità dei nostri sogni notturni.