Dal 1959 il programma SETI (Search for Extraterrestrial Intelligence) indaga su possibili forme di vita extraterrestre. L’assenza, finora, di qualsivoglia contatto con popoli di altri pianeti, può ricordarci quanto rara ed eccezionale sia la nostra specie e la sua storia.
Tuttavia, le scarse probabilità che civiltà simili a quella umana esistano, non implica che questo discorso valga per tutte le forme di vita. Forse alcune specie con grandi capacità di sopravvivenza, potrebbero riuscire a colonizzare il cosmo. È l’idea che avanza un nuovo studio, pubblicato sulla rivista Biosystems, dove le specie microbiche (ad esempio i batteri) si lanciano alla conquista dell’universo.
Per comprendere queste forme di vita bisogna superare i nostri pregiudizi. Molti di noi le vedono esclusivamente come veicoli di malattie ma la realtà è ben diversa. I batteri, infatti, vivono in grandi società composte da miliardi di individui; vere e proprie colonie, capaci di pensare come un’unica mente e di prendere decisioni.
Un agglomerato batterico possiede, infatti, una sorta di grande cervello, deputato a risolvere i problemi ambientali che incontra sulla sua strada. E tutte le colonie batteriche sulla Terra sembrerebbero essere connesse fra loro in una grande rete microbica chiamata ”batteriosfera”.
Lo studio dimostra come queste forme di vita potrebbero sopravvivere nello spazio per almeno tre anni, forse anche di più. Va ricordato, inoltre, che nel loro stato dormiente, i batteri possono rimanere per milioni di anni, a prova di quanto siano resistenti. Da alcuni modelli matematici emerge che sarebbero capaci di viaggiare e sopravvivere non solo fino ai limiti del sistema solare, ma anche oltre, nel profondo della galassia…ma come?
Il loro piano operativo non sarebbe diverso dal nostro, in verità. Gli obiettivi del SETI sono suddivisibili in tre fasi: nella prima, l’uomo legge e interpreta informazioni provenienti dallo spazio, attraverso, ad esempio, i telescopi. Poi vengono sviluppate tecnologie per valutare dove possa essere presente la vita. Nella terza fase, infine, l’obiettivo diviene il contatto con la specie aliena, sperando che essa risponda ai nostri segnali.
I batteri avrebbero un approccio simile: sebbene non possano vantare la nostra stessa capacità nel comprendere le informazioni cosmiche. I cianobatteri, ad esempio, leggono parte del campo elettromagnetico del Sole in forma di luce visibile. Questa specie, inoltre, fu alla base del processo biochimico della fotosintesi, elemento fondamentale per lo sviluppo della vita sulla Terra, e potrebbero essere presenti anche su altri pianeti.
Inoltre, i batteri potrebbero comunicare tra loro nell’Universo. Microbi alieni bio-chimicamente simili potrebbero integrarsi perfettamente nella batteriosfera. Allo stesso modo, i batteri di origine terrestre viaggerebbero nello spazio profondo, per replicare in mondi lontani lo stesso ciclo della vita che hanno creato nel nostro pianeta. L’uomo stesso potrebbe favorire questo processo, soprattutto se il futuro della nostra specie ci vedrà ancora impegnati in missioni spaziali.
Non saremo davvero soli, ad esempio, nel primo passo su Marte, ma avremo milioni di batteri con noi, pronti a colonizzare il pianeta rosso.