La visione tradizionale che vede i gruppi di primati dominati dai maschi è stata messa in discussione da una recente ricerca condotta dall’Università del Texas. Lo studio, che ha esaminato 79 specie di primati, suggerisce che le strutture di potere all’interno di questi gruppi sono molto più variabili e complesse di quanto si pensasse in precedenza.
La revisione della letteratura
I ricercatori hanno analizzato una vasta gamma di specie di primati, dividendo i gruppi in base alla dominanza femminile, maschile o alla co-dominanza. Hanno scoperto che, sebbene la dominanza maschile sia più comune, esistono strutture di potere inclinate verso le femmine o addirittura una parità sociale tra maschi e femmine in ogni principale clade di primati viventi.
Il ruolo delle femmine
La ricerca ha evidenziato l’importanza del potere femminile nei gruppi di primati, spesso trascurato in passato. Rebecca Lewis, professore di antropologia e coautrice dello studio, ha sottolineato che le femmine giocano un ruolo cruciale nelle società dei primati, e che la loro influenza può essere determinante nella struttura del potere del gruppo.
Implicazioni evolutive
Lo studio ha anche esplorato le implicazioni evolutive di queste scoperte, suggerendo che l’assunzione che la maggior parte dei gruppi di primati fosse dominata dai maschi nel corso dell’evoluzione potrebbe non essere accurata. Gli autori propongono che l’ultimo antenato comune dei primati non viveva necessariamente in una società dominata dai maschi.
La variabilità nelle strutture di potere
I risultati hanno mostrato che il 58% delle specie esaminate presentava una struttura di potere inclinata verso i maschi. Tuttavia, tra le scimmie del Vecchio Mondo e gli antropoidi, sono stati trovati numerosi esempi di specie che non seguono questa dinamica. Le scimmie del Nuovo Mondo, invece, hanno mostrato le strutture di potere più variabili, con il 40% delle specie che presentava una co-dominanza o una dominanza femminile.
La dimensione dei sessi e il numero di femmine
La ricerca ha evidenziato che la dominanza maschile era associata non solo alla maggiore dimensione dei maschi rispetto alle femmine, ma anche alla presenza di un maggior numero di femmine all’interno del gruppo. Questo suggerisce che forme di potere più egualitarie emergono quando maschi e femmine sono simili in dimensioni e le femmine non possono essere facilmente soggiogate dai maschi.
In conclusione, lo studio pubblicato su Animals sfida l’idea che la dominanza maschile sia la norma nei gruppi di primati, mostrando che le strutture di potere sono molto più variabili e complesse. Queste scoperte hanno importanti implicazioni per la comprensione dell’evoluzione del comportamento sociale nei primati e potrebbero portare a una revisione delle teorie esistenti sulla struttura del potere all’interno di questi gruppi.