Il modello teorico del MIT sulla memoria cellulare
Un recente studio condotto dai ricercatori del Massachusetts Institute of Technology (MIT) ha proposto un modello teorico che potrebbe spiegare come le cellule mantengano la loro identità nel corso delle generazioni. Secondo questo modello, la struttura tridimensionale del genoma di una cellula sarebbe la guida per il ripristino dei segni epigenetici persi durante la divisione cellulare. Questo meccanismo consentirebbe alle cellule di ”ricordare” il loro tipo specifico, con implicazioni significative per la comprensione delle malattie e dei processi di invecchiamento.
Il ruolo della piegatura tridimensionale del genoma
Memoria cellulare e piegatura del genoma
Lo studio del MIT suggerisce che la piegatura tridimensionale del genoma è fondamentale per la capacità delle cellule di immagazzinare e trasmettere “memorie” di quali geni dovrebbero esprimere. Sebbene ogni cellula del corpo umano contenga le stesse istruzioni genetiche codificate nel suo DNA, di circa 30.000 geni, ogni cellula esprime solo quelli di cui ha bisogno per diventare una cellula nervosa, immunitaria o uno degli altri centinaia di tipi di cellule presenti nel corpo.
Il destino di ogni cellula è in gran parte determinato da modifiche chimiche alle proteine che decorano il suo DNA; queste modifiche a loro volta controllano quali geni vengono attivati o disattivati. Tuttavia, quando le cellule copiano il loro DNA per dividersi, perdono metà di queste modifiche, lasciando aperta la domanda: come mantengono le cellule la memoria di quale tipo di cellula dovrebbero essere?
Mantenimento della memoria epigenetica
All’interno del nucleo cellulare, il DNA è avvolto attorno a proteine chiamate istoni, formando una struttura densamente compatta nota come cromatina. Gli istoni possono mostrare una varietà di modifiche che aiutano a controllare quali geni vengono espressi in una data cellula. Queste modifiche generano una “memoria epigenetica”, che aiuta una cellula a mantenere il suo tipo cellulare. Tuttavia, come questa memoria venga trasmessa alle cellule figlie è in parte un mistero.
Lavori precedenti del laboratorio di Mirny hanno dimostrato che la struttura tridimensionale dei cromosomi è, in larga misura, determinata da queste modifiche epigenetiche, o segni. In particolare, hanno scoperto che alcune regioni della cromatina, con segni che dicono alle cellule di non leggere un particolare segmento di DNA, si attraggono a vicenda e formano grumi densi chiamati eterocromatina, che sono difficili da accedere per la cellula.
Nel loro nuovo studio, Mirny e i suoi colleghi hanno voluto rispondere alla domanda su come questi segni epigenetici vengano mantenuti di generazione in generazione. Hanno sviluppato un modello computazionale di un polimero con alcune regioni marcate e hanno visto che queste regioni marcate collassano l’una nell’altra, formando un grumo denso. Poi hanno studiato come questi segni vengano persi e guadagnati.
Memoria epigenetica ed elaborazione delle informazioni
Il nuovo modello suggerisce anche possibili paralleli tra le memorie epigenetiche immagazzinate in un polimero piegato e le memorie immagazzinate in una rete neurale. La piegatura delle regioni marcate può essere pensata come analoga alle forti connessioni formate tra i neuroni che si attivano insieme in una rete neurale.
“In generale, ciò suggerisce che, analogamente al modo in cui le reti neurali sono in grado di elaborare informazioni molto complesse, il meccanismo di memoria epigenetica che abbiamo descritto potrebbe essere in grado di elaborare informazioni, non solo di immagazzinarle”, afferma Mirny.
Erosione epigenetica
Sebbene questo modello sembrasse offrire una buona spiegazione su come la memoria epigenetica possa essere mantenuta, i ricercatori hanno scoperto che, alla fine, l’attività degli enzimi lettore-scrittore avrebbe portato a coprire l’intero genoma con modifiche epigenetiche. Quando hanno modificato il modello per rendere l’enzima più debole, non copriva abbastanza il genoma e le memorie venivano perse in poche generazioni cellulari.
Per far sì che il modello tenesse conto in modo più accurato della conservazione dei segni epigenetici, i ricercatori hanno aggiunto un altro elemento: limitare la quantità di enzima lettore-scrittore disponibile. Hanno scoperto che se la quantità di enzima veniva mantenuta tra lo 0,1 e l’1 percento del numero di istoni (una percentuale basata su stime dell’effettiva abbondanza di questi enzimi), le loro cellule modello potevano mantenere accuratamente la loro memoria epigenetica fino a centinaia di generazioni, a seconda della complessità del modello epigenetico.
È già noto che le cellule iniziano a perdere la loro memoria epigenetica con l’invecchiamento, e i ricercatori ora prevedono di studiare se il processo da loro descritto in questo documento possa svolgere un ruolo nell’erosione epigenetica e nella perdita dell’identità cellulare. Prevedono inoltre di modellare una malattia chiamata progeria, in cui le cellule presentano una mutazione genetica che porta alla perdita di eterocromatina. Le persone affette da questa malattia sperimentano un invecchiamento accelerato.
“Il legame meccanico tra queste mutazioni e i cambiamenti epigenetici che alla fine si verificano non è ben compreso”, afferma Owen. “Sarebbe fantastico utilizzare un modello come il nostro in cui ci sono segni dinamici, insieme alla dinamica dei polimeri, per cercare di spiegarlo”.
I ricercatori sperano anche di collaborare con altri per testare sperimentalmente alcune delle previsioni del loro modello, che potrebbe essere fatto, ad esempio, alterando il livello di enzimi lettore-scrittore nelle cellule viventi e misurando l’effetto sulla memoria epigenetica.