Un’alternativa ecologica al cemento: materiali viventi ispirati alla natura
Nel cuore del Montana, un team di ricerca guidato da Chelsea Heveran della Montana State University sta rivoluzionando l’idea di edilizia sostenibile. Al centro del loro lavoro c’è Neurospora crassa, un fungo capace di generare una struttura vivente, rigida e autoriparante, utilizzabile in architettura. Insieme al batterio Sporosarcina pasteurii, questo microrganismo ha dato origine a un composto simile a ossa e coralli, composto principalmente da carbonato di calcio, lo stesso materiale che costituisce gusci d’uovo e conchiglie.
L’obiettivo di questa ricerca non è solo di creare un materiale solido e duraturo, ma anche vivente, capace di autoassemblarsi, ripararsi autonomamente e potenzialmente bonificare l’ambiente. Questo tipo di innovazione si colloca perfettamente nella necessità globale di ridurre le emissioni di gas serra, considerando che la sola produzione di cemento è responsabile di oltre il 5% delle emissioni antropiche mondiali.
Una struttura vivente che imita la forza dell’osso
La strategia utilizzata si ispira al processo naturale di biomineralizzazione, lo stesso che permette agli esseri viventi di produrre strutture solide come ossa e denti. In natura, la biomineralizzazione avviene grazie a una matrice biologica come il collagene, che funge da impalcatura. In laboratorio, questo ruolo è stato affidato al micelio del fungo Neurospora, su cui è stato applicato il batterio capace di mineralizzare l’urea presente nel terreno di coltura.
Il risultato è una struttura calcificata, leggera ma sorprendentemente resistente, che mantiene la vitalità per almeno un mese, molto più a lungo di altri materiali viventi sperimentati in passato. Secondo Heveran, questa longevità apre la strada alla creazione di strutture più complesse e durature, che potranno un giorno essere utilizzate su larga scala nel settore edilizio.
Verso un’edilizia rigenerativa: nuove frontiere della bioedilizia
Le implicazioni di questa scoperta sono molteplici. Un materiale da costruzione in grado di “vivere”, crescere e riparare autonomamente le proprie strutture potrebbe ridurre drasticamente i costi di manutenzione e l’impatto ambientale degli edifici. Inoltre, la possibilità di integrare funzionalità biologiche come il rilevamento ambientale o la depurazione dell’aria apre nuove prospettive nell’ambito delle smart cities.
Secondo Aysu Kuru dell’Università di Sydney, l’uso del micelio come base strutturale rappresenta una “strategia semplice ma potentissima”, che potrebbe trasformare radicalmente il modo in cui costruiamo e interagiamo con l’ambiente costruito.
La ricerca, ancora in fase sperimentale, rappresenta una pietra miliare nella bioedilizia, offrendo una visione concreta di un futuro in cui gli edifici non solo saranno sostenibili, ma anche “vivi”.