La stella ZTF SLRN-2020 non ha divorato il suo pianeta: lo ha attirato a sé
Una scoperta sconvolgente sovverte quanto finora si credeva sulla morte dei pianeti nei sistemi stellari. Il fenomeno registrato nel 2020, che mostrava un improvviso aumento di luminosità di una stella distante 12.000 anni luce, sembrava essere l’ennesima conferma del destino dei pianeti che orbitano attorno a stelle simili al Sole: venire inghiottiti quando la stella si espande in una fase di gigante rossa. Ma le nuove osservazioni del James Webb Space Telescope (JWST) raccontano una storia ben diversa.
Secondo l’astrofisico Ryan Lau del NOIRLab negli Stati Uniti, l’analisi dell’evento denominato ZTF SLRN-2020 ha rivelato che la stella non era affatto in fase di espansione. I dati raccolti attraverso lo strumento MIRI del JWST indicano che si trattava di una nana arancione di tipo K, ancora saldamente nella fase di sequenza principale, con una massa pari al 70% di quella del Sole. In sintesi, la stella non era prossima alla fine del suo ciclo vitale.
Il pianeta si è autodistrutto precipitando in un’orbita letale
La vera causa della distruzione del pianeta, secondo lo studio pubblicato su The Astrophysical Journal, è stata un lento decadimento orbitale. Un gioviano caldo, simile a Giove ma situato molto più vicino alla sua stella, avrebbe progressivamente perso massa mentre la sua orbita si contraeva fino al collasso finale. L’impatto sarebbe avvenuto dopo milioni di anni di erosione orbitale, culminando in un cataclisma visibile dalla Terra come un improvviso bagliore stellare.
Il JWST, attraverso lo strumento NIRSpec, ha rilevato due nubi di gas: una più esterna e fredda, e un’altra più calda e interna, contenente monossido di carbonio e persino fosfina. In particolare, la presenza di CO, tipico dei dischi protoplanetari, rappresenta un mistero in un contesto di morte planetaria, suggerendo una complessità chimica inattesa nel post-evento.
Il futuro della Terra? Uno scenario ancora più inquietante
Questa scoperta cambia le prospettive anche per il nostro sistema solare. Gli scienziati ritenevano che la Terra sarebbe stata inghiottita dal Sole durante la sua fase di gigante rossa, tra circa 5 miliardi di anni. Tuttavia, il caso di ZTF SLRN-2020 dimostra che un pianeta può autodistruggersi anche se la stella è stabile, semplicemente per effetto della prossimità orbitale e della perdita di massa.
Secondo l’astrofisico Kishalay De del Kavli Institute for Astrophysics and Space Research del MIT, questa osservazione è un campanello d’allarme. I Gioviani caldi, già conosciuti per la loro instabilità orbitale, potrebbero rappresentare una fase di transizione comune e forse inevitabile per molti mondi, destinati a una spirale finale di annientamento.
Una nuova frontiera per l’archeologia planetaria
Il caso di ZTF SLRN-2020 rappresenta l’unico evento documentato in tempo reale in cui un pianeta viene distrutto in questo modo. I ricercatori sperano che si tratti solo del primo di molti, e che nuove campagne osservative possano identificare altri casi simili. Secondo Lau, ciò potrebbe costituire la base per una vera e propria astroforense, una disciplina che permette di ricostruire la morte dei pianeti attraverso le tracce chimiche e luminose che lasciano nello spazio.
La scoperta sottolinea quanto poco conosciamo i destini planetari e quanto le interazioni gravitazionali e chimiche possano generare finali inaspettati, anche in sistemi stellari all’apparenza tranquilli.