I veleni del passato ancora presenti nei mari britannici
Nonostante siano vietati dal 1981 nel Regno Unito e dal 2001 a livello globale, i policlorobifenili (PCB) continuano a rappresentare una minaccia concreta per la fauna marina. Queste sostanze, un tempo utilizzate in ambito industriale, sono estremamente persistenti e ancora oggi vengono rinvenute in elevate concentrazioni nel tessuto adiposo dei delfini comuni a becco corto (Delphinus delphis). Secondo un’indagine realizzata dalla Zoological Society of London, che ha esaminato 836 esemplari spiaggiati tra il 1990 e il 2020, la media dei PCB rilevata nei corpi degli animali è pari a 32,15 mg/kg, ben oltre il limite di sicurezza stimato in 22 mg/kg.
Riscaldamento delle acque e aumento del rischio di malattie
Il riscaldamento delle acque superficiali dell’oceano amplifica gli effetti tossici dei PCB, aggravando la salute dei delfini. Ogni incremento di 1°C nella temperatura del mare comporta un aumento del 14% nella mortalità per malattie infettive. Le patologie più comuni osservate sono gastrite, enterite, encefalite, infezioni batteriche e polmonite. Anche una piccola variazione nei livelli di PCB – come 1 mg/kg in più – incrementa del 1,6% la probabilità che queste infezioni risultino fatali. È una situazione che testimonia gli effetti congiunti di inquinamento, cambiamento climatico e perdita di biodiversità, la cosiddetta “tripla crisi planetaria”.
Delfini, indicatori biologici della salute marina
I delfini, collocandosi in cima alla catena alimentare marina, accumulano nel loro organismo tutte le sostanze tossiche presenti nelle prede, rendendoli organismi sentinella per monitorare lo stato dell’ambiente marino. La loro lunga aspettativa di vita e la distribuzione lungo le coste del Regno Unito li espongono a effetti cronici e cumulativi. Situazioni simili sono state documentate anche in Scozia, dove esemplari come l’orca Lulu presentavano livelli di PCB di quasi 957 mg/kg, un valore che ha compromesso la sua fertilità e ne ha decretato la morte prematura.
Lenta scomparsa delle tossine e sfide ambientali
L’eliminazione dei PCB dai mari si presenta come una sfida quasi insormontabile. La loro resistenza alla degradazione fa sì che rimangano attivi per decenni. Alcuni ricercatori stanno studiando metodi come il dragaggio dei sedimenti e il miglioramento degli impianti di depurazione, ma i risultati sono ancora lontani da essere definitivi. Intanto, gli scienziati avvertono: l’inazione potrebbe causare una nuova emergenza ambientale legata alle PFAS, sostanze altrettanto stabili, già ampiamente diffuse e altrettanto difficili da eliminare. Le conseguenze, se non si interviene, potrebbero replicare la crisi ambientale vissuta con i PCB.