Le lame di pietra del Paleolitico svelano abilità condivise
In una grotta del Sudafrica, migliaia di strumenti in pietra risalenti a circa 20.000 anni fa hanno offerto agli archeologi un raro sguardo sulla sofisticata conoscenza tecnica degli esseri umani del tardo Paleolitico. L’analisi si è concentrata in particolare sui nuclei di pietra, le rocce da cui venivano scheggiate le lame. È proprio studiando queste strutture centrali che gli scienziati hanno ricostruito i metodi di produzione utilizzati dagli antichi artigiani.
Sara Watson, ricercatrice post-dottorato presso il Field Museum di Chicago, ha sottolineato quanto il nucleo, piuttosto che le lame stesse, sia fondamentale per comprendere la sequenza operativa e le tecniche trasmesse all’interno delle comunità umane di quell’epoca. Ogni nucleo mostra un disegno deliberato, un ordine preciso nelle operazioni, testimonianza diretta di un processo apprenditivo strutturato.
La condivisione delle competenze nel cuore dell’era glaciale
La varietà e l’accuratezza delle tecniche osservate hanno portato i ricercatori a una conclusione sorprendente: queste popolazioni condividevano le conoscenze. Le modalità di scheggiatura, in particolare la riduzione del nucleo, risultano altamente specializzate e coerenti tra gruppi geograficamente distanti.
Watson ha notato forti somiglianze tra tecniche sudafricane e quelle rinvenute in Namibia e Lesotho, a centinaia di chilometri di distanza. Le stesse modalità di rottura delle pietre, gli stessi risultati ottenuti: un pattern costante che non può essere casuale. Questo schema ripetuto rappresenta una prova concreta di trasmissione culturale e tecnica, suggerendo che i gruppi umani si scambiavano conoscenze e imparavano gli uni dagli altri.
Ambienti mutevoli e nuove strategie di sopravvivenza
Durante il periodo in cui questi strumenti furono creati, tra i 24.000 e i 12.000 anni fa, la Terra era profondamente diversa. Il livello del mare, abbassato dai ghiacciai, aveva spostato l’ubicazione delle grotte verso l’interno, in aree dominate da ampie pianure popolate da antilopi e altri animali da caccia. Le nuove condizioni ambientali resero necessaria l’evoluzione di armi più efficaci e metodi di caccia avanzati.
L’accesso alle grotte stesse non era semplice: gli archeologi, come Watson, hanno dovuto arrampicarsi per circa 23 metri, servendosi di corde, imbracature e scale improvvisate con sacchi di sabbia. Ogni viaggio significava trasportare attrezzature pesanti e affrontare l’arduo compito di recuperare frammenti fragili senza danneggiarli.
Scavi meticolosi per ricostruire la complessità del passato
Per garantire l’integrità dei reperti, i ricercatori hanno impiegato strumenti di precisione come cazzuole miniaturizzate e utensili dentali, rimuovendo con pazienza ogni sottile strato di sedimento. Questo approccio ha permesso di preservare la stratigrafia del sito, fondamentale per comprendere l’evoluzione temporale delle tecnologie.
La cura nello scavo e l’interpretazione dei dati mostrano che gli umani dell’era glaciale erano capaci di sviluppare tecnologie avanzate e, cosa ancora più significativa, di trasmettere quelle competenze all’interno e tra diversi gruppi sociali. L’umanità del Paleolitico appare così molto più interconnessa e culturalmente dinamica di quanto si sia ritenuto finora.