Un accordo record da 1,2 miliardi di dollari accende il dibattito globale
La Bolivia si prepara a lanciare un’operazione senza precedenti: una vendita di crediti di carbonio del valore di 1,2 miliardi di dollari. Un’iniziativa che potrebbe ridefinire i confini della finanza climatica, ma che solleva anche interrogativi cruciali sull’effettiva efficacia delle compensazioni ambientali.
Al centro dell’accordo vi è il progetto di trasformare intere foreste boliviane in “titoli di carbonio sovrani”, negoziabili sul mercato come azioni. L’operazione è condotta in collaborazione con Laconic, una società americana che promette di coniugare alta tecnologia e finanza verde.
Ma questo ambizioso programma è davvero una soluzione sostenibile per il clima o rischia di diventare l’ennesima vetrina di greenwashing globale?
Una nuova frontiera nella finanza ambientale?
La struttura dell’accordo si basa sull’Articolo 6.2 dell’Accordo di Parigi, che consente a un paese di vendere riduzioni di emissioni a un altro, purché si evitino doppie contabilizzazioni. La Bolivia, in teoria, dovrebbe evitare l’emissione di 100 milioni di tonnellate di CO₂ nei prossimi cinque anni grazie alla conservazione delle sue foreste. Di queste, solo 40 milioni saranno effettivamente “vendibili”, mentre il resto fungerà da margine di sicurezza contro eventi come incendi.
Come funziona il meccanismo?
- Laconic utilizzerà immagini satellitari per verificare la riduzione della deforestazione rispetto a uno scenario “business-as-usual”.
- I proventi della vendita saranno trattenuti in un fondo fiduciario nelle Isole Cayman, e rilasciati solo in base a risultati verificabili.
- I titoli saranno acquistabili da governi, aziende e investitori istituzionali, che potranno utilizzarli per compensare le proprie emissioni.
L’obiettivo, secondo i promotori, è ambizioso: mobilitare capitali dal Nord Globale al Sud Globale, creando un ecosistema finanziario sostenuto da interessi economici convergenti.
Una soluzione o un’illusione?
Tuttavia, le critiche non mancano. Molti esperti sottolineano che il sistema dei crediti di carbonio ha già mostrato forti limiti in passato. Secondo una meta-analisi pubblicata su Nature Communications, meno del 25% dei crediti da progetti di riforestazione ha prodotto reali riduzioni di emissioni. Altri studi mostrano che solo una piccola percentuale dei crediti venduti sui mercati volontari ha superato standard di qualità rigorosi.
L’Articolo 6.2, sebbene regolamentato dall’ONU, lascia ampio margine ai governi, il che rende difficile verificare l’integrità delle riduzioni dichiarate. In Bolivia, ad esempio, mancano ancora regolamenti nazionali chiari che disciplinino l’emissione di questi crediti.
I rischi principali evidenziati dagli esperti
- Doppio conteggio delle emissioni tra paesi venditori e acquirenti.
- Spostamento della deforestazione in aree limitrofe come il Perù.
- Mancanza di trasparenza sulle metodologie e sui dati utilizzati.
- Dipendenza economica da un nuovo modello estrattivo, questa volta “verde”.
Cristian Flores, attivista boliviano, parla senza mezzi termini di “falsa soluzione”, criticando un sistema che potrebbe servire a legittimare le emissioni dei grandi inquinatori a scapito delle comunità locali e della biodiversità.
Un’opportunità per la Bolivia o una scelta obbligata?
Il contesto economico del paese gioca un ruolo chiave. La Bolivia è alle prese con una crisi economica profonda, riserve in calo, scarsità di carburante e una stagione di incendi devastante che ha distrutto oltre 100.000 km² di foreste solo nel 2023. In questo scenario, la prospettiva di ottenere capitali senza ricorrere a ulteriori indebitamenti appare allettante.
Ma gli analisti locali mettono in guardia: entrare nel mercato del carbonio senza una strategia chiara potrebbe riprodurre le stesse dinamiche estrattive che hanno storicamente danneggiato l’ambiente e le popolazioni indigene.
Crediti di carbonio: parte della soluzione o perpetuazione del problema?
Andrew Gilmour, CEO di Laconic, sostiene che la compensazione sia “lo strumento singolo più efficace per trasferire risorse dove servono”. Ma la domanda centrale rimane: possiamo davvero compensare le emissioni acquistando titoli, mentre si continua con le attività inquinanti?
Molti esperti temono che questi strumenti vengano utilizzati per giustificare l’inazione climatica nei paesi ricchi, mascherando la mancata transizione energetica con un’illusoria neutralità carbonica “acquistata”.
Il caso boliviano rappresenta quindi un banco di prova globale. Se funzionerà, potrebbe aprire la strada a nuovi modelli di cooperazione e finanziamento climatico. Se fallirà, rischia di diventare l’emblema di come la lotta al cambiamento climatico possa essere trasformata in un prodotto finanziario vuoto.