L’acqua calda e priva di ossigeno come chiave della sopravvivenza marina
Durante la “Grande Moria”, che circa 252 milioni di anni fa cancellò quasi l’80% delle specie marine, le condizioni estreme degli oceani — temperature elevate e scarsa ossigenazione — non decretarono la fine di tutta la vita. Alcune specie, soprattutto molluschi, non solo resistettero, ma iniziarono a proliferare e a diffondersi globalmente in un mondo post-apocalittico.
Secondo una nuova ricerca pubblicata su Science Advances, guidata da un team della Stanford University, queste condizioni avverse avrebbero agito da filtro ambientale, favorendo quelle creature capaci di sopportare il caldo e la carenza di ossigeno. Il modello ambientale sviluppato dal gruppo, basato su dati geochimici e sulle risposte fisiologiche dei discendenti moderni di quelle antiche forme di vita, dimostra come l’ambiente abbia avuto un ruolo decisivo nella selezione dei sopravvissuti.
Dalla diversità all’uniformità: un oceano omogeneo
Nel periodo successivo alla catastrofe, definito dagli scienziati come “Grande Noia”, la vita marina si trasformò radicalmente. Quello che un tempo era un ecosistema ricco di biodiversità si tramutò in un ambiente popolato da specie simili ovunque. Queste creature sopravvissute, liberate dalla competizione e dalla predazione, conquistarono gli oceani e resero le comunità biologiche molto più uniformi tra loro.
La spiegazione ambientale proposta dai ricercatori si differenzia da quelle più comuni di tipo ecologico, che attribuivano il successo di alcune specie alla scomparsa di predatori o concorrenti diretti. Il nuovo modello, invece, dimostra che fu l’ambiente ostile stesso a scegliere i futuri dominatori dei mari.
Molluschi protagonisti della rinascita post-estinzione
Grazie alla loro fisiologia adattabile, i molluschi come vongole, ostriche, chiocciole e lumache marine si dimostrarono più capaci di sopravvivere in condizioni oceaniche caratterizzate da temperature elevate e basso contenuto di ossigeno. Queste stesse qualità vengono oggi riscontrate nei loro parenti moderni, capaci di tollerare condizioni simili in ambienti costieri degradati.
Utilizzando le caratteristiche di questi animali attuali, i ricercatori hanno simulato la distribuzione delle specie sopravvissute nel mondo post-Permiano, osservando che le stesse dinamiche di allora potrebbero ripetersi in futuro.
Un avvertimento per gli oceani del futuro
Il modello proposto non guarda solo al passato. Offre una chiave di lettura anche per comprendere l’impatto delle estinzioni di massa moderne, innescate oggi dalle attività umane e dal cambiamento climatico. L’aumento delle temperature oceaniche e la progressiva deossigenazione delle acque stanno già creando le condizioni che, nel passato remoto, portarono alla dominanza dei molluschi e alla perdita di diversità.
Secondo gli autori dello studio, se questi trend continueranno, potremmo assistere a un futuro in cui gli ecosistemi marini moderni subiranno una drastica semplificazione, con l’affermarsi di poche specie resistenti e l’estinzione di molte altre. Il fenomeno, definito come omogeneizzazione tassonomica, potrebbe trasformare ancora una volta gli oceani della Terra, rendendoli monotoni e biologicamente impoveriti.