Nell’estate del 2024, una delle più imponenti spedizioni scientifiche mai organizzate nel circolo polare artico ha fornito una nuova chiave di lettura sull’accelerazione dello scioglimento dei ghiacci. La missione ARCSIX, acronimo di Arctic Radiation Cloud Aerosol Surface Interaction Experiment, orchestrata dalla NASA, ha rivelato dati sorprendenti: la polvere sollevata dalle terre emerse della Groenlandia sembra contribuire in modo significativo alla fusione dei ghiacci marini.
Secondo Patrick Taylor, vice responsabile scientifico di ARCSIX, “l’Artico sta mutando a un ritmo che supera qualsiasi altra area del globo”. La domanda che oggi si pongono gli studiosi non è più “se” l’Artico cambierà, ma “quanto velocemente” lo farà.
ARCSIX: la missione che ha riscritto la comprensione del clima artico
La missione ARCSIX si è svolta tra maggio e luglio 2024, un periodo in cui lo scioglimento stagionale del ghiaccio marino raggiunge il picco. Gli scienziati, coordinati da Linette Boisvert, responsabile della criosfera di ARCSIX, si aspettavano di misurare spessori di ghiaccio intorno ai 3,5 metri, ma la realtà ha mostrato uno spessore medio di appena 2,2 metri. Questo risultato indica che il ghiaccio marino più spesso, a nord della Groenlandia, non può più essere considerato stabile.
L’Artico ha perso negli ultimi decenni circa il 12% della propria copertura glaciale ogni dieci anni, secondo le osservazioni satellitari iniziate nel 1979. Si tratta di una riduzione equivalente a 3 milioni di chilometri quadrati, un’area superiore alla somma di Alaska, Texas, California e Montana. Il ritmo di questa perdita è cresciuto, con un calo attuale del 12,2% ogni decennio, ovvero sei volte più rapido rispetto agli anni ’90.
Per ottenere questi dati, la NASA ha schierato aerei da ricerca come il C-130 e il P-3 Orion, che hanno sorvolato le nuvole artiche, lanciando boe strumentate negli stretti varchi tra i blocchi di ghiaccio galleggiante. Queste boe, dotate di termometri e altri sensori, hanno dovuto affrontare minacce naturali come gli orsi polari, attratti dai colori vivaci degli strumenti. Per evitare incidenti, sono state dipinte di bianco, mimetizzandosi nel paesaggio glaciale.
La polvere: il fattore invisibile che minaccia i ghiacci del Polo Nord
Il principale sospettato dietro il crollo accelerato del ghiaccio artico potrebbe essere un elemento finora sottovalutato: la polvere. Quando il ghiaccio terrestre della Groenlandia si scioglie, lascia esposte vaste aree di terreno nudo, che viene rapidamente eroso dai venti artici. Queste particelle di polvere, trasportate verso nord, penetrano nelle nuvole, trasformandole in meccanismi che anziché proteggere il ghiaccio, lo espongono maggiormente ai raggi solari.
Le nuvole infatti hanno una duplice funzione nel bilancio energetico dell’Artico: riflettono la luce solare, rallentando lo scioglimento, ma quando diventano più cariche di cristalli di ghiaccio, tendono a disperdersi più in fretta, riducendo la copertura nuvolosa. La polvere agisce da nucleo di condensazione, favorendo la formazione dei cristalli che destabilizzano queste nuvole basse e sottili.
I dati satellitari della NASA indicavano già che il 4,5% delle nuvole fredde, sotto i 15°C, cambiavano struttura quando contaminate da particelle di polvere. Tuttavia, le misurazioni dirette effettuate durante la missione ARCSIX mostrano concentrazioni molto più alte di quanto si prevedesse, con 93 nanogrammi di polvere per metro cubo solo come valore medio di riferimento. Le reali concentrazioni sono risultate superiori, sconvolgendo le stime dei modelli climatici.
Le conseguenze di un ciclo di feedback distruttivo
Questo fenomeno innesca un ciclo di feedback che sta rapidamente spingendo l’Artico verso un punto di non ritorno. Secondo Boisvert, durante l’estate del 2024, l’area a nord della Groenlandia ha mostrato un’apertura insolitamente ampia nel ghiaccio marino, attribuibile a correnti di aria calda e umida provenienti dallo Stretto di Fram, che separa la Groenlandia dalle Svalbard, e si dirige verso il bacino artico centrale.
Gli scienziati, come la tedesca Julia Schmale, esperta in aerosol, sottolineano l’importanza di questi nuovi dati per migliorare i modelli climatici. Inserire le informazioni sulle concentrazioni di polvere e i cristalli di ghiaccio all’interno delle simulazioni aiuterà a prevedere il comportamento futuro delle nuvole artiche e, di conseguenza, del ghiaccio marino.
Un futuro incerto per il ghiaccio pluriennale dell’Artico
Mentre le boe galleggianti continuano a trasmettere informazioni sulla variabilità dello spessore del ghiaccio, la missione ARCSIX rappresenta il più completo studio sulle interazioni tra atmosfera e superficie artica mai condotto fino ad oggi. Patrick Taylor e il suo team della NASA continueranno ad analizzare questi dati nei prossimi anni per cercare di rispondere a una domanda sempre più urgente: quanto tempo rimane al ghiaccio marino pluriennale prima di scomparire del tutto?