Le microplastiche, frammenti di materiale plastico inferiori a cinque millimetri, si trovano ormai ovunque: nei terreni agricoli, nei fondali marini e persino sospese nell’aria che respiriamo. Un recente studio pubblicato su npj Climate and Atmospheric Science, però, ribalta la teoria secondo cui gli oceani siano il motore principale di questa contaminazione atmosferica. La nuova ricerca evidenzia come le masse d’acqua funzionino più da serbatoio che da fonte di microplastiche aerotrasportate.
Le microplastiche si spostano nell’atmosfera, ma l’oceano le trattiene
Le microplastiche hanno origine per lo più sulla terraferma, dove i rifiuti plastici si frammentano progressivamente in particelle di dimensioni microscopiche. Questi residui vengono trasportati dai fiumi verso l’oceano, dove si accumulano nei sedimenti marini o si disperdono in superficie. Alcuni studi passati avevano ipotizzato che le onde e gli spruzzi del mare potessero rimettere in circolo queste particelle, proiettandole nell’atmosfera attraverso le bolle d’aria che si formano in superficie.
Tuttavia, i ricercatori del Max Planck Institute for Meteorology, attraverso l’elaborazione di un modello di trasporto chimico tridimensionale, hanno rilevato che la quantità di microplastiche rilasciate dagli oceani nell’aria è trascurabile. Solo lo 0,008% delle microplastiche atmosferiche sarebbe riconducibile agli ambienti marini. Al contrario, circa il 15% delle microplastiche già presenti nell’aria verrebbe assorbito dalla superficie oceanica, trasformando l’oceano in un enorme pozzo capace di sequestrare questi inquinanti.
La dimensione delle microplastiche influisce sul loro viaggio nell’atmosfera globale
La dimensione delle particelle gioca un ruolo fondamentale nella loro distribuzione. Le microplastiche più grandi tendono a precipitare rapidamente al suolo, mentre le particelle più fini possono restare sospese nell’aria per periodi superiori a dodici mesi, viaggiando da un continente all’altro. Questo trasporto prolungato amplia il raggio d’azione delle microplastiche, che vengono rilevate anche in aree remote, come le catene montuose dell’Himalaya o i ghiacciai dell’Artico.
Un rischio invisibile per la salute respiratoria e riproduttiva
La presenza di microplastiche nell’aria rappresenta una minaccia silenziosa ma concreta. Secondo una revisione sistematica pubblicata nel 2024 su Environmental Science & Technology, l’esposizione cronica a questi contaminanti può contribuire all’insorgenza di infiammazioni polmonari, compromettere la funzione respiratoria e favorire lo sviluppo di tumori ai polmoni. Inoltre, si ipotizzano effetti negativi sulla fertilità umana, benché siano necessari ulteriori studi per confermare i meccanismi biologici di tale correlazione.
Le fonti principali delle microplastiche atmosferiche si trovano sulla terraferma
Il lavoro scientifico pubblicato su npj Climate and Atmospheric Science suggerisce che l’origine primaria delle microplastiche aerodisperse vada ricercata nelle attività terrestri, come l’usura degli pneumatici, l’erosione delle vernici e il degrado delle fibre tessili. Queste attività rilasciano continuamente nuove particelle, alimentando il ciclo delle microplastiche a livello globale.
Verso una comprensione più profonda delle dinamiche delle microplastiche atmosferiche
La scoperta che gli oceani non siano la fonte dominante delle microplastiche nell’atmosfera impone un ripensamento delle strategie di contrasto all’inquinamento plastico. Gli autori dello studio sostengono che solo una comprensione completa dei processi di emissione, trasporto e deposizione delle microplastiche potrà guidare efficacemente le politiche future, tutelando sia la salute pubblica che gli ecosistemi globali.