Il cervello umano è protetto da barriere naturali che impediscono l’ingresso di sostanze potenzialmente nocive, ma questa difesa rappresenta un ostacolo anche per la somministrazione di farmaci per malattie neurologiche come Alzheimer, Parkinson, tumori cerebrali e SLA. Tuttavia, un’innovativa tecnica basata su microbolle attivate dagli ultrasuoni potrebbe cambiare radicalmente il trattamento di queste patologie.
Grazie a recenti studi condotti presso l’ETH di Zurigo, pubblicati sulla rivista Nature Physics, gli scienziati hanno analizzato come queste microscopiche bolle possano temporaneamente aprire la barriera emato-encefalica (BBB), consentendo il passaggio controllato di farmaci direttamente nel tessuto cerebrale. Questa tecnologia potrebbe migliorare la precisione delle cure riducendo gli effetti collaterali.
Un metodo rivoluzionario per la somministrazione di farmaci
La BBB è composta da cellule endoteliali strettamente unite tra loro, che regolano il passaggio delle sostanze nel sistema nervoso centrale. Questa barriera lascia filtrare selettivamente nutrienti essenziali come ossigeno e glucosio, ma blocca molte molecole farmacologiche, riducendone l’efficacia terapeutica e aumentando il rischio di effetti collaterali dovuti alla loro diffusione in altri organi.
Per risolvere questo problema, gli scienziati hanno sviluppato una strategia basata su microbolle riempite di gas, che vengono iniettate nel flusso sanguigno. Quando raggiungono l’area cerebrale da trattare, vengono attivate da impulsi ultrasonici, permettendo il rilascio mirato del farmaco e l’apertura temporanea della BBB. Questo metodo rappresenta l’unica tecnica non invasiva, localizzata e reversibile per somministrare medicinali al cervello in modo sicuro ed efficace.
Come funzionano le microbolle?
Le microbolle, più piccole dei globuli rossi, sono rivestite da un sottile strato di lipidi che le stabilizza. Quando vengono esposte agli ultrasuoni, iniziano a vibrare rapidamente e generano piccole aperture temporanee nella BBB, permettendo ai farmaci di attraversarla.
Per studiare in dettaglio questo processo, i ricercatori hanno sviluppato un microscopio ultra-potente con un ingrandimento 200x e una telecamera capace di registrare fino a 10 milioni di immagini al secondo. Attraverso un modello sperimentale basato su cellule endoteliali coltivate su una membrana di plastica, hanno osservato che le microbolle, una volta attivate dagli ultrasuoni, emettono microgetti di liquido in grado di perforare la membrana cellulare senza danneggiarla.
Il ruolo dei microgetti nella somministrazione di farmaci
Uno dei risultati più sorprendenti dello studio è la scoperta dei microgetti, getti di liquido microscopici che si formano quando le microbolle vengono colpite dagli ultrasuoni. Questi getti si muovono a una velocità incredibile di 200 chilometri all’ora, perforando con precisione la membrana cellulare e consentendo il passaggio dei farmaci nel tessuto cerebrale.
“Abbiamo dimostrato che la superficie delle microbolle si deforma sotto l’azione degli ultrasuoni, generando microgetti in grado di attraversare la membrana cellulare in modo preciso e controllato,” ha spiegato Marco Cattaneo, dottorando e autore principale dello studio.
Ciò che rende questa tecnica particolarmente interessante è il fatto che le microbolle rimangono intatte dopo ogni attivazione, consentendo un rilascio continuo del farmaco con ogni impulso ultrasonico. Questo garantisce una somministrazione mirata ed efficiente, riducendo al minimo gli effetti collaterali.
Verso un futuro di trattamenti personalizzati
Grazie a questa innovativa tecnologia, gli scienziati potranno ora ottimizzare la frequenza e l’intensità degli ultrasuoni, oltre a perfezionare le dimensioni e il rivestimento delle microbolle, per garantire un’efficacia terapeutica ancora maggiore.
“Il nostro lavoro chiarisce i principi fisici alla base della somministrazione di farmaci con microbolle e ci aiuta a definire parametri chiave per un utilizzo sicuro ed efficace,” ha dichiarato Outi Supponen, professore all’Istituto di Dinamica dei Fluidi di Zurigo.
Le ricerche future potrebbero espandere l’applicazione di questa tecnologia anche ad altre patologie, come gli infarti e l’aterosclerosi, aprendo la strada a un nuovo approccio alla medicina di precisione.