Correre tra la vegetazione fitta delle foreste tropicali dell’Asia, mentre tra i rami e le foglie spiccano lampi di arancione acceso, significa trovarsi nel territorio dei dholes, i cosiddetti “cani fischianti”, predatori tanto affascinanti quanto letali. Improvvisamente, nel bel mezzo di una frenetica corsa, il frastuono dei loro richiami si interrompe e ciò che resta è solo un lieve, inquietante sibilo. Per un cervo, questo suono rappresenta l’ultimo segnale prima di essere circondato e sopraffatto dal branco.
Il dhole (nome scientifico: Cuon alpinus) è un canide selvatico della grandezza di un pastore tedesco, caratterizzato da una pelliccia color rosso bruciato e un muso curioso e amichevole, almeno all’apparenza. Questi carnivori, diffusi principalmente tra India, Nepal, Bhutan e le fitte foreste del Sud-est asiatico, sono imparentati geneticamente con il cane selvatico africano (Lycaon pictus), ma a differenza di quest’ultimo possiedono un’abilità peculiare: fischiano per comunicare.
I dholes sono tra i pochissimi mammiferi terrestri noti per utilizzare il fischio come mezzo di coordinamento durante la caccia. Secondo le ricerche del Dhole Conservation Fund, il loro repertorio vocale è particolarmente ricco: possono miagolare, abbaiare, squittire, piagnucolare, urlare, ringhiare e persino chiacchierare, ma il fischio a bassa frequenza è il suono che più li distingue e che ha fatto guadagnare loro il soprannome di “cani fischianti”.
Nel fitto della giungla asiatica, dove il canto degli uccelli tropicali e il ronzio degli insetti creano una cacofonia costante, i dholes devono trovare sistemi di comunicazione efficaci per coordinarsi durante gli inseguimenti di prede come cervi sambar, muntjak e cinghiali selvatici. Spargendosi nel sottobosco e circondando il bersaglio da più fronti, il branco riesce ad aumentare le probabilità di successo. Tuttavia, più i componenti si allontanano tra loro, più diventa difficile mantenere il contatto attraverso abbaî e latrati. Qui entra in gioco il fischio penetrante e prolungato, che grazie alla bassa frequenza riesce a oltrepassare le barriere naturali della foresta e raggiungere distanze considerevoli, permettendo ai dholes di muoversi con precisione e cogliere di sorpresa la preda.
Non solo i dholes, ma anche altri animali hanno scoperto i vantaggi del fischio come mezzo di comunicazione. Ad esempio, il tapiro asiatico (Tapirus indicus) utilizza suoni simili per localizzare i membri del gruppo nel fitto della vegetazione. Uno studio pubblicato nel 2012 ha evidenziato come questi richiami modulati siano particolarmente efficaci sia durante le ore diurne, quando il rumore della giungla è assordante, sia di notte, quando il ronzio degli insetti domina l’ambiente sonoro. Il fischio a spazzata di frequenza sembra dunque rappresentare un adattamento evolutivo vincente in ambienti ricchi di ostacoli acustici.
Ma l’efficienza comunicativa non è una prerogativa esclusiva dei carnivori asiatici o dei mammiferi terrestri. Anche negli oceani, tra le acque tropicali dell’Oceano Pacifico e le gelide correnti dell’Atlantico, le megattere (Megaptera novaeangliae) si affidano a complesse strutture sonore per comunicare su lunghe distanze. Gli studiosi hanno rilevato che le canzoni delle balene seguono due leggi linguistiche proprie anche del linguaggio umano. La legge di Zipf, detta anche legge della brevità, suggerisce che i suoni più comuni tendono ad essere i più brevi, mentre la legge di Menzerath afferma che sequenze più lunghe risultano generalmente composte da unità più corte e semplici.
Questo parallelismo tra i richiami delle megattere e il linguaggio umano suggerisce che l’efficienza comunicativa sia un fenomeno universale, frutto di un’evoluzione convergente che ha portato specie differenti a sviluppare soluzioni simili per superare le barriere ambientali e migliorare il coordinamento sociale.
Nel caos sonoro delle foreste tropicali o nelle profondità marine, gli animali hanno sviluppato un’incredibile gamma di segnali sonori per farsi sentire, farsi capire e sopravvivere. E se il fischio dei dholes può sembrare una stranezza isolata, basta fermarsi ad ascoltare per scoprire che la natura ha creato una vera e propria orchestra di suoni segreti, dai chioccolii delle anatre fino ai cori ancestrali delle balene.
Così, la prossima volta che ti addentri nei boschi dell’India o sulle montagne del Nepal, presta attenzione: un leggero sibilo tra le foglie potrebbe non essere solo il vento, ma il richiamo di un branco di dholes in azione. E per la loro preda, quello è l’ultimo suono che sentirà.