Un nuovo studio pubblicato su Marine Mammal Science dall’Università di Washington (UW) ha rivelato che alcune balene con fanoni, oltre a utilizzare il canto per attrarre potenziali partner, adottano frequenze sonore più basse per proteggersi dagli attacchi delle orche. Questo comportamento rientra nella loro strategia di lotta o fuga, un meccanismo evolutivo che influenza diversi aspetti della loro vita.
Strategie di sopravvivenza: lotta o fuga
Le balene con fanoni, tra cui le megattere, le balenottere azzurre, le balene grigie e le balene franche, sono generalmente più solitarie rispetto ai gruppi organizzati di orche, che sono predatori altamente coordinati. Essendo prede vulnerabili, queste balene sviluppano due strategie principali per difendersi: il confronto diretto o la fuga veloce.
Il gruppo che sceglie la lotta, che include megattere, balene franche, balene grigie e balene della Groenlandia, ha corpi robusti e manovrabili, che consentono di affrontare meglio gli attacchi. Inoltre, queste specie tendono a dare alla luce i loro piccoli in acque costiere basse, un ambiente che permette loro di unirsi in gruppo per proteggersi più efficacemente.
Dall’altro lato, il gruppo che opta per la fuga, composto da balenottere azzurre, comuni, di Bryde, sei e minori, presenta corpi più snelli e idrodinamici, progettati per nuotare rapidamente e allontanarsi dal pericolo. Queste balene preferiscono partorire in acque aperte, dove possono fuggire facilmente in qualsiasi direzione se percepiscono una minaccia.
La cripsis acustica: un’arma invisibile contro le orche
Il suono è un elemento fondamentale nella comunicazione delle balene, che lo utilizzano per interagire tra loro, marcare il territorio e segnalare la presenza di cibo. Tuttavia, molte delle loro vocalizzazioni superano i 1.500 hertz, una gamma di frequenze che le orche possono facilmente rilevare.
Le specie di balene con fanoni che adottano la lotta non hanno problemi a emettere suoni potenti, poiché sono pronte ad affrontare i predatori. Invece, per quelle che fuggono, il rischio di essere individuate dalle orche è troppo elevato. Per questo motivo, hanno sviluppato una strategia di cripsis acustica, abbassando la frequenza dei loro richiami fino a circa 100 hertz. A questa frequenza, un’orca dovrebbe trovarsi a meno di un chilometro di distanza per riuscire a percepire il suono.
Secondo lo studio condotto da Trevor Branch, professore di scienze acquatiche e pesca alla Università di Washington, questa tecnica permette alle balene di comunicare senza essere facilmente localizzate dai predatori.
Branch ha spiegato che la cripsis acustica è un’evoluzione adattativa che protegge non solo gli esemplari adulti, ma anche i loro cuccioli, riducendo il rischio di attacchi da parte delle orche. “Canzoni molto forti potrebbero esporre sia loro che i loro piccoli agli attacchi,” ha dichiarato Branch in un comunicato stampa. “Per questo, abbassare la frequenza delle vocalizzazioni è diventata una soluzione efficace.”
Un paesaggio sonoro governato dalla paura
Per il suo studio, Branch ha analizzato una vasta quantità di dati, tra cui le capacità uditive delle orche, gli intervalli di frequenza delle vocalizzazioni delle balene con fanoni e il modo in cui i suoni si propagano negli oceani.
I risultati hanno evidenziato che, nelle acque aperte, la comunicazione tra le balene è fortemente influenzata dalla paura della predazione. Mentre alcune specie accettano il rischio e continuano a cantare a volumi elevati, altre hanno modificato il loro comportamento per ridurre al minimo la possibilità di essere individuate.
Le balene con fanoni che fuggono hanno quindi sviluppato un sistema di comunicazione più discreto, che consente loro di trovare i compagni senza attirare attenzioni indesiderate.
Branch ha concluso che l’intero comportamento delle balene con fanoni, dalla scelta dell’habitat alle modalità di comunicazione e alla strategia di sopravvivenza, è profondamente influenzato dalla minaccia costante rappresentata dalle orche. “Non avevo mai considerato che il canto delle balene potesse essere regolato dalla paura, ma più analizzavo i dati, più mi rendevo conto di quanto questa influenza fosse pervasiva,” ha affermato lo scienziato.