L’analisi del DNA antico ha aperto nuove prospettive sulla nostra comprensione della lingua indoeuropea. Un team di ricerca guidato da Ron Pinhasi dell’Università di Vienna, in collaborazione con il laboratorio di DNA antico dell’Università di Harvard, ha fatto luce su un mistero che ha sfidato gli studiosi per secoli. Grazie a un nuovo studio pubblicato su Nature, è stata finalmente colmata una lacuna cruciale nella storia delle lingue indoeuropee.
L’enigma delle lingue indoeuropee
Le lingue indoeuropee costituiscono la più vasta famiglia linguistica del mondo, comprendendo oltre 400 varianti parlate da più della metà della popolazione globale. Tra queste troviamo le lingue germaniche, romanze, slave, indo-iraniane e celtiche. La loro origine e diffusione attraverso Europa e Asia sono state oggetto di intense ricerche, ma alcune domande fondamentali sono rimaste senza risposta. Questo nuovo studio ha individuato l’anello mancante che collega il passato remoto della famiglia linguistica indoeuropea con le popolazioni che la diffusero.
Il DNA antico e l’ascendenza delle steppe
Fino ad oggi, gran parte della ricerca sulle origini delle lingue indoeuropee si è concentrata sulla cosiddetta “ascendenza delle steppe”, un concetto che fa riferimento alla popolazione che abitava le steppe pontico-caspiche, a nord del Mar Nero e del Mar Caspio. È noto che il popolo della cultura Yamnaya, attivo intorno al 3100 a.C., si spostò dall’area delle steppe, diffondendosi in Europa e Asia centrale. Questo movimento migratorio ha avuto un impatto duraturo, lasciando una significativa eredità genetica nelle popolazioni moderne.
Le ricerche precedenti avevano già dimostrato che questa mescolanza tra i cacciatori-raccoglitori, i primi agricoltori e i pastori delle steppe ha influenzato non solo il patrimonio genetico dell’umanità, ma anche la diffusione delle lingue. Tuttavia, una questione rimaneva irrisolta: perché le lingue anatoliche, come l’ittita, non mostravano tracce di questa ascendenza delle steppe?
Il mistero dell’ittita e il ruolo della nuova scoperta
L’ittita, una delle più antiche lingue indoeuropee conosciute, presenta caratteristiche uniche che la distinguono dagli altri rami linguistici. Fino a oggi, gli studiosi non erano riusciti a spiegare come questa lingua fosse entrata a far parte della famiglia indoeuropea senza mostrare alcuna connessione genetica con la popolazione Yamnaya.
L’analisi del DNA di oltre 435 individui provenienti da siti archeologici in Europa e Asia ha permesso di svelare un dettaglio fondamentale: la componente genetica mancante non derivava dalle steppe pontico-caspiche, bensì da una popolazione distinta, situata tra le montagne del Caucaso settentrionale e il basso Volga.
Il Caucaso-Basso Volga: la chiave delle origini indoeuropee
Lo studio ha identificato un nuovo gruppo, denominato popolazione Caucaso-Basso Volga (CLV), che si è rivelato essere l’elemento decisivo per comprendere la diffusione delle lingue indoeuropee. Gli scienziati hanno scoperto che l’80% del patrimonio genetico della popolazione Yamnaya deriva in realtà dal gruppo CLV.
Questa scoperta rivoluziona la nostra comprensione della preistoria linguistica. Ron Pinhasi, nel comunicato ufficiale, ha dichiarato che il riconoscimento della popolazione CLV come anello mancante rappresenta un vero punto di svolta nella ricerca iniziata due secoli fa per ricostruire l’origine degli Indoeuropei e i percorsi attraverso cui si sono diffusi.
Le implicazioni della scoperta
Questa nuova prospettiva obbliga gli studiosi a rivedere le teorie tradizionali sulle origini della lingua indoeuropea. Se prima si pensava che la diffusione fosse legata esclusivamente alla migrazione della cultura Yamnaya, ora sappiamo che un fattore chiave è rappresentato dalla popolazione del Caucaso-Basso Volga, che ha lasciato un segno profondo nel DNA e nella lingua di molte civiltà successive.
Questa rivelazione apre nuove strade per future ricerche e potrebbe riscrivere i libri di storia sulla nascita e diffusione della lingua indoeuropea.