Uno studio recente ha rivelato che i bonobo, i nostri più stretti parenti tra le grandi scimmie, possiedono una forma di teoria della mente. Questa capacità, tipica degli esseri umani, permette di riconoscere ciò che un’altra persona sa o ignora, favorendo la cooperazione. I risultati della ricerca condotta presso l’Ape Initiative, un centro specializzato nello studio dei primati in Iowa, hanno mostrato che questi primati possono dedurre gli stati mentali altrui e modificare il loro comportamento di conseguenza.
La teoria della mente nei bonobo
La teoria della mente è un’abilità cognitiva avanzata che consente di attribuire pensieri, credenze ed emozioni agli altri, comprendendo che possono avere informazioni diverse dalle proprie. Negli esseri umani, questa capacità è fondamentale per la vita sociale, aiutando a prevedere le azioni altrui e a migliorare la comunicazione.
Da tempo gli scienziati si interrogano se anche le grandi scimmie possiedano questa competenza. Mentre alcuni studi precedenti avevano dato risultati contrastanti, ricerche recenti suggeriscono che questa abilità non sia esclusiva dell’uomo e che abbia origini più antiche di quanto si pensasse. Scimpanzé selvatici, ad esempio, avvertono i membri del gruppo della presenza di pericoli, come serpenti, solo quando sanno che gli altri non ne sono consapevoli.
Tuttavia, prove chiare in ambienti controllati erano ancora limitate. Per questo motivo, un team di ricercatori della Johns Hopkins University, guidato da Luke Townrow e Christopher Krupenye, ha ideato un esperimento per verificare se i bonobo possano riconoscere e rispondere all’ignoranza di un altro individuo.
L’esperimento dell’ape initiative
Lo studio ha coinvolto tre bonobo maschi allevati in cattività presso l’Ape Initiative. L’esperimento consisteva in una semplice prova di cooperazione con un essere umano.
Un tavolo separava la scimmia dallo sperimentatore e sopra di esso erano posti tre bicchieri di plastica capovolti. Un altro ricercatore, dietro una barriera, nascondeva un pezzo di cibo sotto uno dei bicchieri. La chiave dell’esperimento stava nella visibilità:
- Nella condizione di conoscenza, una finestra permetteva allo sperimentatore di vedere sotto quale bicchiere veniva nascosta la ricompensa.
- Nella condizione di ignoranza, la vista dello sperimentatore era completamente oscurata.
Se lo sperimentatore riusciva a trovare il cibo, lo offriva al bonobo, creando un incentivo per la scimmia a condividere le informazioni quando il ricercatore non sapeva dove cercare.
Dopo aver rimosso la barriera, i ricercatori hanno osservato se e quanto rapidamente i bonobo indicavano il bicchiere corretto.
I risultati dell’esperimento
I dati raccolti hanno rivelato che i bonobo erano significativamente più veloci e più propensi a indicare il bicchiere giusto quando capivano che lo sperimentatore non aveva visto dove era stato nascosto il cibo. In media, impiegavano 1,5 secondi in meno per segnalare la soluzione nella condizione di ignoranza e indicavano il bicchiere corretto nel 20% delle prove in più rispetto alla condizione di conoscenza.
Questi risultati suggeriscono che i bonobo possono effettivamente comprendere quando un altro individuo non sa qualcosa e modificare il proprio comportamento per aiutarlo. Christopher Krupenye ha sottolineato che questa scoperta contraddice l’idea che solo gli esseri umani possano attribuire stati mentali agli altri.
Un’abilità legata alla nostra evoluzione
I risultati di questo studio si collegano ad altre osservazioni su primati in natura. Zanna Clay, della Durham University, ha affermato che la ricerca fornisce un supporto sperimentale a ciò che già si sospettava sugli scimpanzé e bonobo selvatici. Tuttavia, ha avvertito che i bonobo coinvolti nello studio sono cresciuti in ambienti orientati agli esseri umani, quindi non è certo che questa abilità sia presente in tutti gli individui della specie.
Nonostante questo limite, i ricercatori ritengono che la capacità di comprendere l’ignoranza altrui sia un tratto innato nei bonobo e, probabilmente, fosse già presente nell’antenato comune che esseri umani e grandi scimmie condividevano milioni di anni fa.
Laura Lewis, dell’Università della California, Berkeley, ha evidenziato che queste competenze cognitive potrebbero aver giocato un ruolo cruciale nell’evoluzione umana. Riconoscere l’ignoranza di un compagno e cooperare per superarla sarebbe stato vantaggioso per la sopravvivenza, specialmente quando si trattava di trovare cibo o evitare pericoli.
Questa ricerca aggiunge un altro tassello alla nostra comprensione dell’intelligenza animale e ci avvicina sempre di più a rispondere a una domanda fondamentale: quanto siamo davvero unici nel regno animale?