Due gigantesche strutture situate nelle profondità del mantello terrestre, sotto l’Africa e l’Oceano Pacifico, potrebbero essere molto più antiche e misteriose di quanto immaginassimo. Nuove ricerche suggeriscono che queste masse colossali, conosciute come province a bassa velocità di taglio (LLSVP), esistono probabilmente da miliardi di anni e potrebbero riscrivere la nostra comprensione della geologia terrestre.
Un enigma sotterraneo osservato attraverso i terremoti
Poiché il nucleo della Terra è inaccessibile per l’uomo, l’unico modo per esplorarlo è attraverso la tomografia sismica, una tecnica che utilizza le onde sismiche generate dai terremoti. Quando un sisma scuote il pianeta, le onde viaggiano attraverso la crosta e il mantello, e la loro velocità varia a seconda della densità e della composizione dei materiali incontrati. Studiando queste variazioni, i geologi hanno scoperto che esistono due enormi strutture, dove le onde rallentano significativamente, indicando che il materiale in quelle aree è diverso da quello circostante.
Individuate per la prima volta negli anni ’70, queste masse si trovano al confine tra il nucleo esterno fuso e il mantello solido. In particolare, una di esse, chiamata Tuzo, situata sotto l’Africa, si estende per circa 800 chilometri in altezza, equivalente a 90 volte il Monte Everest.
La loro origine: crosta terrestre o frammenti di un antico pianeta?
La composizione esatta di queste misteriose isole sotterranee rimane incerta, ma gli scienziati hanno formulato diverse ipotesi. Una teoria suggerisce che le LLSVP siano costituite da antichi frammenti di crosta oceanica, sprofondati nel mantello attraverso un processo noto come subduzione, accumulandosi nel tempo in queste enormi masse.
Un’ipotesi ancora più sorprendente è che possano essere i resti di un pianeta primordiale. Secondo questa teoria, circa 4,5 miliardi di anni fa, un corpo celeste delle dimensioni di Marte, chiamato Theia, si sarebbe scontrato con la Terra primordiale, contribuendo alla formazione della Luna. Durante l’impatto, pezzi del mantello di Theia potrebbero essersi fusi con quello terrestre, creando le LLSVP. Studi di modellazione computerizzata hanno mostrato che, se il mantello di Theia fosse stato appena dal 1,5% al 3,5% più denso di quello terrestre, avrebbe potuto sopravvivere per miliardi di anni senza mescolarsi completamente.
Un nuovo approccio: lo studio del suono all’interno della Terra
Nel nuovo studio, i ricercatori hanno utilizzato una tecnica avanzata basata sullo smorzamento delle onde sismiche, ovvero la quantità di energia persa dalle onde mentre attraversano i diversi strati della Terra. Questo metodo ha permesso di distinguere ulteriormente la natura delle LLSVP rispetto alle altre formazioni presenti nel mantello profondo.
Sorprendentemente, i risultati hanno mostrato che le LLSVP hanno un livello di smorzamento molto basso, il che significa che le onde sonore che le attraversano mantengono una grande intensità. Al contrario, nelle zone dove si trovano le antiche placche tettoniche subdotte, il suono risulta molto più debole, a causa dell’elevato numero di grani cristallini che assorbono l’energia delle onde.
Questo suggerisce che le LLSVP siano formate da materiali con grani di dimensioni molto maggiori, il che le renderebbe più rigide e più antiche rispetto al resto del mantello. Ciò implicherebbe che il mantello terrestre non sia un fluido in costante mescolamento come si credeva, ma presenti alcune zone stabili e isolate.
Un impatto sulla formazione dei vulcani e delle montagne
Se confermata, questa scoperta potrebbe cambiare la nostra comprensione di fenomeni come la formazione delle montagne, i movimenti tettonici e l’origine dei vulcani. Infatti, si ritiene che le LLSVP influenzino direttamente la nascita dei pennacchi del mantello, ovvero le gigantesche colonne di magma che risalgono dalle profondità della Terra, alimentando vulcani come quelli delle Hawaii e dell’Islanda.
Le ricerche future potranno fornire ulteriori risposte, e fortunatamente gli scienziati non dovranno attendere nuovi terremoti per ottenere dati. Le informazioni raccolte dai sismometri fin dagli anni ’70 potrebbero essere già sufficienti per migliorare la nostra conoscenza su queste enigmatiche strutture giganti nel cuore del nostro pianeta.
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Nature.