Per milioni di anni, alcune specie arboree hanno trovato il modo di superare le barriere naturali che separano la foresta pluviale amazzonica dalla foresta atlantica, nonostante l’ampia fascia di savana e foresta secca che le divide. La nuova ricerca di un team internazionale di scienziati suggerisce che gli alberi sfruttano i fiumi come corridori naturali, consentendo la dispersione continua delle specie tra questi due ecosistemi apparentemente isolati.
Una connessione nascosta tra due foreste pluviali
L’Amazzonia, situata nel cuore del Sud America, e la foresta pluviale atlantica, che si estende lungo la costa orientale del Brasile, sono separate da centinaia di chilometri di aree troppo aride per permettere la crescita delle tipiche specie delle foreste tropicali. Eppure, molte piante che prosperano in entrambe le foreste hanno origini comuni.
Fino ad oggi, gli scienziati pensavano che questa somiglianza botanica fosse dovuta a cambiamenti climatici del passato, quando il Brasile era più umido e le foreste tropicali si estendevano in maniera continua. Tuttavia, una nuova ipotesi sta prendendo piede: gli alberi amazzonici non hanno mai smesso di colonizzare la foresta atlantica, ma lo fanno costantemente attraverso un meccanismo di dispersione naturale che utilizza i corsi d’acqua come veri e propri corridoi ecologici.
La prova genetica della migrazione
Per dimostrare questa teoria, un gruppo di ricercatori dell’Università di Edimburgo e del Royal Botanic Garden Edinburgh ha analizzato il DNA di 164 specie del genere Inga, un gruppo di alberi molto diffuso nelle foreste pluviali del Sud America.
Attraverso l’analisi genetica, gli scienziati hanno potuto ricostruire la storia evolutiva di queste piante, identificando i momenti in cui alcune specie si sono separate dai loro antenati e si sono spostate da un ecosistema all’altro. I risultati hanno rivelato tra 16 e 20 casi di dispersione dall’Amazzonia alla foresta atlantica, suggerendo un flusso continuo di specie nel corso del tempo.
Un viaggio a senso unico?
Curiosamente, i ricercatori hanno scoperto che la migrazione inversa, dalla foresta atlantica all’Amazzonia, è estremamente rara, con uno o due soli casi identificati. Questo squilibrio potrebbe essere dovuto al forte flusso di semi amazzonici, che supera la capacità della foresta atlantica di esportare le proprie specie. In altre parole, la foresta pluviale amazzonica agisce come un grande serbatoio di biodiversità, inviando continuamente nuove specie arboree alla foresta atlantica attraverso i fiumi brasiliani.
Implicazioni per la conservazione
I risultati dello studio, pubblicati sulla rivista Proceedings of the Royal Society B: Biological Sciences, hanno importanti conseguenze per le strategie di protezione ambientale.
Secondo il professor Toby Pennington, coautore della ricerca e membro dell’Università di Exeter, questi dati evidenziano la necessità di preservare i fiumi e i loro ecosistemi non solo per la loro importanza idrica, ma anche per il loro ruolo ecologico cruciale nella connessione tra foreste pluviali.
Un dato allarmante è che solo il 20% della foresta atlantica originale è ancora intatto, nonostante la sua incredibile biodiversità, che supera perfino quella dell’Amazzonia brasiliana con circa 3.000 specie di piante in più.
Se vogliamo garantire la sopravvivenza di questi ecosistemi unici, non basta proteggere le foreste esistenti, ma occorre anche preservare i loro legami naturali, mantenendo intatti i corridoi fluviali che permettono alla biodiversità di diffondersi e rigenerarsi nel tempo.