I funghi velenosi rappresentano una delle principali cause di avvelenamento alimentare mortale nel mondo, e tra questi spicca l’Amanita phalloides, noto anche come tignosa verdognola. Questo micidiale organismo è responsabile di circa il 90% dei decessi legati al consumo di funghi tossici. Anche una quantità minima di questo fungo può provocare danni irreversibili al fegato e ai reni, portando spesso alla morte.
La sua fama mortale risale a tempi antichi: si racconta che l’imperatore romano Claudio sia stato avvelenato dalla moglie Agrippina, la quale gli avrebbe somministrato un piatto contenente tignosa verdognola. Anche la morte dell’imperatore Carlo VI del Sacro Romano Impero, avvenuta nel 1740, è stata attribuita al consumo accidentale di questo fungo, scatenando la sanguinosa Guerra di Successione Austriaca.
Un aspetto ingannevole: il pericolo della confusione con specie commestibili
Uno dei motivi che rendono l’Amanita phalloides così pericolosa è la sua somiglianza con funghi commestibili. Il suo cappello, che può variare dal verde al marrone, fino al bianco, induce spesso in errore i raccoglitori inesperti. Molti lo confondono con l’Amanita caesarea, una specie pregiata e sicura.
La sua presenza si manifesta tra la fine dell’estate e l’autunno, periodo in cui molti appassionati si dedicano alla raccolta di funghi. Sebbene sia originario dell’Europa, il fungo si è diffuso accidentalmente in tutto il mondo, stabilendosi anche in America e Oceania. Le sue ife, ossia le strutture filamentose sotterranee, crescono in simbiosi con le radici di alberi a foglia larga, e proprio grazie al commercio di questi alberi il fungo ha raggiunto nuovi continenti.
Un caso di cronaca: il sospetto avvelenamento in Australia
Un recente caso avvenuto in Australia ha riportato alla ribalta la letalità della tignosa verdognola. Una donna è stata accusata di omicidio dopo aver servito un piatto di manzo alla Wellington contenente funghi selvatici, che ha portato alla morte di tre persone e al ricovero di una quarta, sopravvissuta solo grazie a un trapianto di fegato. Sebbene la donna sostenga che si sia trattato di un incidente, le indagini hanno ipotizzato la presenza di Amanita phalloides nel piatto.
La letalità dell’Amanita phalloides: un veleno senza antidoto
Il motivo per cui l’Amanita phalloides è così micidiale risiede nella presenza della α-amanitina, una tossina che provoca la morte cellulare negli organi vitali. L’avvelenamento si manifesta con vomito, diarrea e dolori addominali, seguiti da un apparente miglioramento che precede il collasso irreversibile del fegato e dei reni. Senza un intervento medico tempestivo, il paziente cade in coma e muore nel giro di pochi giorni.
Attualmente non esiste un antidoto specifico per l’α-amanitina. I trattamenti disponibili includono dialisi e trapianti d’organo, ma l’efficacia dipende dalla rapidità con cui viene somministrata l’assistenza medica. Tuttavia, la ricerca scientifica ha recentemente individuato la proteina STT3B, che sembra avere un ruolo cruciale nella tossicità del fungo. Questa scoperta potrebbe aprire la strada allo sviluppo di un antidoto efficace nei prossimi anni.
Fino ad allora, l’unico modo per proteggersi è evitare con assoluta certezza il consumo di Amanita phalloides e prestare estrema attenzione alla raccolta dei funghi.