L’arretramento dei ghiacci alpini nelle Montagne Rocciose ha portato alla luce una foresta di pini bianchi risalente a quasi 6000 anni fa, offrendo agli scienziati una straordinaria finestra sul passato climatico della regione. La scoperta è avvenuta durante una ricerca archeologica nell’altopiano di Beartooth, nel Wyoming, a un’altitudine di circa 3100 metri, ben 180 metri oltre il limite attuale della vegetazione arborea.
Una scoperta eccezionale nelle Montagne Rocciose
Il team di ricercatori ha individuato oltre 30 alberi di Pinus albicaulis, una specie che oggi non cresce a simili altitudini. Questo suggerisce che, quando la foresta era ancora in vita, il clima fosse significativamente più caldo rispetto a quello attuale. Cathy Whitlock, esperta della Montana State University, sottolinea come questi resti forniscano preziose informazioni sulle condizioni climatiche di alta quota di migliaia di anni fa.
L’analisi degli anelli di crescita e la datazione al radiocarbonio hanno permesso di stabilire che la foresta esisteva tra 5950 e 5440 anni fa, in un periodo caratterizzato da un progressivo raffreddamento climatico.
Il ruolo delle eruzioni vulcaniche nel cambiamento climatico
Studi sulle carote di ghiaccio prelevate in Antartide e Groenlandia indicano che questa fase di raffreddamento fu probabilmente influenzata da eruzioni vulcaniche secolari nell’emisfero settentrionale. Queste eruzioni rilasciarono nell’atmosfera quantità significative di particelle e sedimenti, causando una diminuzione delle temperature globali e rendendo l’ambiente troppo ostile per la sopravvivenza degli alberi ad alta quota.
Secondo Joe McConnell, del Desert Research Institute in Nevada, altre potenti eruzioni vulcaniche in Islanda circa 5100 anni fa contribuirono ulteriormente al calo termico, permettendo ai ghiacci di espandersi e seppellire gli alberi. Questa copertura glaciale ha garantito una conservazione eccezionale dei tronchi per oltre cinque millenni.
Alberi antichi perfettamente conservati
I tronchi rinvenuti si trovano in ottime condizioni, segno che furono rapidamente protetti dagli agenti atmosferici dopo la loro morte. Non ci sono tracce evidenti di valanghe, ma la posizione dei resti è coerente con l’avanzamento del ghiaccio nel periodo di raffreddamento.
Negli ultimi decenni, a causa dell’innalzamento delle temperature globali, il ritiro dei ghiacci alpini ha iniziato a rivelare questi alberi, un fenomeno che potrebbe continuare nei prossimi anni con l’ulteriore riscaldamento del pianeta.
L’impatto del cambiamento climatico sulle foreste di alta quota
Secondo Whitlock, la scoperta di questa foresta sepolta rappresenta una testimonianza unica, ma allo stesso tempo un monito inquietante sulle conseguenze del cambiamento climatico.
“Il riscaldamento globale sta esponendo aree che sono rimaste coperte dai ghiacci per millenni. Questo è affascinante per la scienza, ma allo stesso tempo è una chiara dimostrazione di quanto gli ecosistemi alpini siano vulnerabili al cambiamento climatico”, afferma Whitlock.
Gli studi climatici suggeriscono che, con il progressivo riscaldamento, il limite degli alberi continuerà a spostarsi verso altitudini maggiori, ridefinendo l’ecosistema montano.
Un’eccezionale capsula del tempo della storia umana
Oltre alla foresta sepolta, le ricerche sulle chiazze di ghiaccio delle Montagne Rocciose hanno portato alla luce reperti ancora più antichi. Tra questi, frammenti di aste di legno utilizzate per frecce e dardi, a conferma del fatto che le popolazioni preistoriche cacciavano in alta quota già migliaia di anni fa.
Un’asta in particolare è stata datata a oltre 10.000 anni fa, fornendo una straordinaria prova dell’adattabilità umana in ambienti estremi. Kevin Anchukaitis, dell’Università dell’Arizona, sottolinea come questi ritrovamenti offrano una narrazione inedita sulle condizioni climatiche del passato e sulla loro influenza sulle antiche civiltà montane.
Questa scoperta unica nelle Montagne Rocciose non solo arricchisce la nostra comprensione della storia climatica della Terra, ma evidenzia anche il profondo impatto che le variazioni climatiche hanno avuto – e continuano ad avere – sugli ecosistemi e sulle popolazioni umane.