Un trattamento salvavita ancora poco compreso
La radioterapia è stata un’arma fondamentale contro il cancro per decenni, salvando milioni di vite. Tuttavia, il meccanismo preciso attraverso cui le radiazioni uccidono le cellule tumorali è rimasto a lungo un mistero. Ora, una nuova ricerca del Sydney Children’s Medical Research Institute potrebbe finalmente svelare il segreto, aprendo la strada a trattamenti più mirati ed efficaci, con minori effetti collaterali.
Secondo lo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature Cell Biology, il modo in cui una cellula tumorale muore dopo l’irradiazione è determinato dal suo sistema di riparazione del DNA. Questa scoperta potrebbe rivoluzionare l’approccio terapeutico, permettendo di potenziare la risposta immunitaria e migliorare i risultati clinici.
Come la radioterapia uccide le cellule tumorali
L’idea di base della radioterapia è semplice: fasci di radiazioni ionizzanti vengono direzionati sul tumore, danneggiando il suo DNA fino a renderne impossibile la sopravvivenza. Alcuni tumori, come i linfomi, sono particolarmente radiosensibili e muoiono con dosi relativamente basse. Tuttavia, il processo è più complesso di quanto sembri.
Oltre alla distruzione diretta delle cellule malate, la radioterapia innesca una risposta immunitaria: le cellule tumorali colpite rilasciano segnali di pericolo che attivano il sistema immunitario, spingendolo ad attaccare anche le cellule cancerose non direttamente esposte alle radiazioni. Questo effetto, noto come effetto abscopale, è cruciale per il successo della terapia. Tuttavia, non tutte le cellule tumorali muoiono nel modo giusto per stimolare questa risposta.
Il ruolo della riparazione del DNA nella morte delle cellule tumorali
Il professor Tony Cesare, autore principale dello studio, ha spiegato che il processo di riparazione del DNA, solitamente utile per proteggere le cellule sane, può determinare come e quando una cellula tumorale muore dopo l’irradiazione.
Le cellule subiscono danni al DNA continuamente e dispongono di diversi meccanismi per ripararli. Tuttavia, quando il danno è troppo esteso – come accade con la radioterapia – il sistema di riparazione può fallire, portando alla morte della cellula.
Il problema è che non tutte le cellule tumorali muoiono nello stesso modo:
- Alcune muoiono durante la mitosi (divisione cellulare), ma senza attivare il sistema immunitario.
- Altre muoiono successivamente, rilasciando segnali che allertano il sistema immunitario, migliorando l’efficacia della terapia.
Perché la morte cellulare durante la mitosi è un problema
Se la radioterapia induce la morte durante la mitosi, il sistema immunitario non viene attivato. Questo limita l’efficacia della terapia, perché le cellule tumorali che sopravvivono non vengono attaccate.
D’altra parte, se le cellule tumorali riescono a sopravvivere alla mitosi ma sono comunque danneggiate, finiscono per morire rilasciando sottoprodotti della riparazione del DNA che il sistema immunitario interpreta come un’infezione. Questo lo spinge ad attaccare anche le cellule cancerose superstiti, aumentando le possibilità di eliminare il tumore.
Secondo i ricercatori, il meccanismo responsabile di questa differenza è la ricombinazione omologa, uno dei principali processi di riparazione del DNA. Se si riuscisse a bloccare la ricombinazione omologa, le cellule tumorali sarebbero costrette a ripararsi con altri metodi, che le porterebbero a morire nel modo che attiva il sistema immunitario.
Nuovi farmaci per migliorare la radioterapia
Il dottor Radoslaw Szmyd, primo autore dello studio, ha dedicato sei anni a studiare il motivo per cui le cellule dello stesso tumore muoiono in modi diversi. Tracciando il loro comportamento per una settimana dopo l’irradiazione, ha scoperto che il tipo di morte cellulare dipende dal sistema di riparazione del DNA attivato.
Questo apre la possibilità di sviluppare farmaci che inibiscono la ricombinazione omologa, forzando le cellule tumorali a morire nel modo che stimola il sistema immunitario.
Alcuni farmaci con questo effetto sono già in sperimentazione clinica, come gli inibitori ATR, che interferiscono con la riparazione del DNA. Anche alcune mutazioni genetiche, come quelle sul gene BRCA2 (associate al tumore al seno), influenzano la ricombinazione omologa e potrebbero rendere alcuni tumori più sensibili alla radioterapia.
Se questi risultati venissero confermati, si potrebbe:
- Aumentare l’efficacia della radioterapia, rendendola più selettiva contro i tumori.
- Ridurre le dosi necessarie, limitando gli effetti collaterali per i pazienti.
- Sfruttare meglio la risposta immunitaria, migliorando la sopravvivenza a lungo termine.
I prossimi passi saranno testare questa strategia su modelli animali e poi in studi clinici per verificare la reale efficacia nell’uomo. Se confermata, questa scoperta potrebbe segnare una svolta nel trattamento del cancro, trasformando la radioterapia in una terapia ancora più potente e mirata.