Chi vive in contesti urbani affronta una doppia vulnerabilità nei confronti del Covid-19. L’inquinamento atmosferico, oltre a favorire l’insorgenza di malattie respiratorie, sembra aggravare l’impatto della pandemia e compromettere l’efficacia della vaccinazione. Due studi del Centro ricerche in Epidemiologia e Medicina Preventiva (Epimed) dell’Università dell’Insubria, pubblicati su Epidemiology ed Environmental Research, analizzano in modo approfondito la relazione tra esposizione a sostanze inquinanti e salute pubblica durante la pandemia.
L’impatto dello smog sul rischio di infezione e ospedalizzazione: i dati di Varese
Nel 2020, primo anno della pandemia, un’indagine su oltre 709.000 adulti residenti nella provincia di Varese ha permesso di tracciare un quadro dettagliato dei rischi legati all’inquinamento atmosferico. Gli studiosi hanno utilizzato dati dell’Osservatorio Epidemiologico di Regione Lombardia, integrati con informazioni ambientali fornite dall’Agenzia regionale Aria e da modelli della società Arianet. Dall’analisi è emerso che un incremento di 3,5 microgrammi per metro cubo nell’esposizione annua al particolato atmosferico PM ha portato a un significativo aumento dei contagi da SarsCoV2, con una maggiore probabilità di ospedalizzazione e accesso alle terapie intensive.
Le zone urbane come Saronno, Busto Arsizio e Gallarate hanno registrato i dati peggiori. In queste aree, la combinazione di particolato atmosferico e biossido di azoto ha accentuato i rischi sanitari, con centinaia di casi aggiuntivi rispetto alle zone rurali. L’effetto combinato dei due inquinanti si è rivelato particolarmente dannoso per la popolazione residente nelle città, dove la qualità dell’aria è spesso compromessa. È stata osservata anche una correlazione tra alti livelli di ozono e un incremento di eventi sanitari legati al Covid-19, sottolineando come l’inquinamento atmosferico giochi un ruolo chiave nel peggiorare gli esiti clinici.
L’effetto dello smog sull’efficacia del vaccino: uno studio sulla popolazione anziana
Un secondo studio, pubblicato su Environmental Research, ha indagato l’influenza dell’inquinamento sulla risposta immunitaria al vaccino anti-Covid nella popolazione anziana. I risultati mostrano che l’esposizione cronica al PM 2.5, una delle particelle inquinanti più diffuse, è associata a una riduzione significativa dei livelli di immunoglobuline IgG, fondamentali per proteggere contro il virus. La conseguenza diretta è una minore efficacia della vaccinazione, con un rischio più alto di infezione post-vaccinazione.
Tuttavia, lo studio ha evidenziato un aspetto positivo per coloro che si sottopongono regolarmente ai richiami vaccinali. Chi aderisce alle campagne di aggiornamento delle dosi raccomandate, infatti, vede ridursi l’impatto negativo dello smog sulla risposta immunitaria, dimostrando l’importanza della prevenzione continua.
Implicazioni per la salute pubblica: la sfida delle città italiane
Questi risultati mettono in evidenza come l’inquinamento atmosferico non sia solo un problema ambientale, ma anche un importante fattore sanitario. Le aree urbane italiane, spesso caratterizzate da alti livelli di smog, potrebbero risentire in modo simile degli effetti combinati tra inquinanti e pandemie. L’esperienza della provincia di Varese rappresenta un caso emblematico che sottolinea la necessità di politiche integrate per ridurre l’inquinamento, migliorare la qualità dell’aria e mitigare i rischi per la salute pubblica.
La relazione tra smog e vulnerabilità al Covid-19 solleva questioni cruciali sulle priorità strategiche per il futuro, sia in termini di sanità che di sostenibilità ambientale.