Al centro di quasi ogni galassia dell’universo conosciuto si trova un buco nero supermassiccio, un’entità straordinariamente densa che domina la dinamica gravitazionale del suo ambiente. Tuttavia, scoprire questi colossi cosmici non è sempre semplice: molti di essi sono avvolti da spesse nubi di polvere e gas che rendono difficile identificarli. Secondo una nuova ricerca pubblicata su The Astrophysical Journal, il numero di buchi neri nascosti è significativamente più alto di quanto si pensasse in precedenza, arrivando a rappresentare tra il 35% e il 44% del totale.
L’importanza dei buchi neri nell’evoluzione delle galassie
I buchi neri supermassicci non sono semplicemente delle “entità passive” che si limitano a inghiottire materia. Essi hanno un ruolo cruciale nella formazione e nell’evoluzione delle galassie. Un buco nero attivo, alimentato da gas e polvere, espelle parte del materiale circostante attraverso potenti venti galattici. Questi meccanismi possono rallentare o persino fermare la formazione di nuove stelle, regolando indirettamente le dimensioni e la composizione delle galassie stesse.
Come spiegato dal professor Poshak Gandhi dell’Università di Southampton, senza questi regolatori cosmici le galassie potrebbero essere molto più grandi. “Se il buco nero supermassiccio della Via Lattea non esistesse, il cielo notturno sarebbe probabilmente popolato da molte più stelle,” ha affermato Gandhi, sottolineando come queste entità modellino il panorama galattico.
Come vengono rilevati i buchi neri nascosti
L’individuazione dei buchi neri supermassicci coperti da dense nubi di polvere richiede strumenti sofisticati. Le normali osservazioni in luce visibile o nei raggi X morbidi non riescono a penetrare queste nubi. Tuttavia, i raggi X più energetici, emessi dalle regioni vicine al buco nero, possono attraversare gli strati di polvere e rivelare la loro presenza.
La recente ricerca si è basata su un’analisi combinata di dati provenienti da due missioni spaziali della NASA: il Satellite Astronomico Infrarosso (IRAS) e l’osservatorio a raggi X NuSTAR. IRAS, operativo nel 1983, ha mappato le emissioni infrarosse prodotte dal calore delle nubi che avvolgono i buchi neri, permettendo di identificare le regioni di interesse. NuSTAR, con la sua capacità di rilevare raggi X altamente energetici, ha poi confermato la presenza dei buchi neri in queste zone.
La complessità della rilevazione
Il processo di individuazione è tutt’altro che semplice. I telescopi devono esaminare con attenzione le emissioni di calore infrarosso per distinguere tra buchi neri nascosti e altre fonti, come galassie in cui si verifica una formazione stellare intensa. Questo richiede ore di osservazioni mirate, pianificate sulla base dei dati forniti da IRAS.
Peter Boorman, astrofisico del Caltech e autore principale dello studio, ha sottolineato l’importanza della collaborazione tra strumenti di epoche diverse. “È straordinario vedere quanto siano stati utili i dati di IRAS, un telescopio che ha operato oltre 40 anni fa. Questo dimostra il valore di conservare gli archivi dei telescopi e l’importanza di utilizzare strumenti complementari per studiare il cosmo.”
Nuove prospettive sull’universo nascosto
Le implicazioni di questa scoperta sono profonde. Una proporzione così alta di buchi neri oscurati suggerisce che la loro crescita avviene prevalentemente attraverso l’accumulo di gas e polvere piuttosto che tramite fusioni con altri buchi neri. Questo processo potrebbe anche fornire indizi sul modo in cui le galassie si evolvono nel tempo.
Inoltre, la scoperta rappresenta un invito a continuare a migliorare le tecniche di osservazione. Gli strumenti futuri, come il James Webb Space Telescope, potrebbero rivelare ancora di più sui segreti dei buchi neri supermassicci e sulla loro influenza sul nostro universo.
Attraverso queste osservazioni, gli astronomi stanno lentamente illuminando un aspetto ancora poco compreso del cosmo, mostrando quanto sia vasto e complesso il ruolo di queste entità misteriose nella trama dell’universo.