Entro il 2060, si stima che circa un milione di adulti negli Stati Uniti svilupperanno annualmente una forma di demenza, un dato allarmante rispetto ai 514.000 casi registrati nel 2020. Questa previsione evidenzia l’urgenza di adottare misure preventive e migliorare le strategie di assistenza per affrontare una delle sfide più significative della salute pubblica a livello globale.
La demenza è una condizione progressiva caratterizzata da sintomi quali perdita di memoria, difficoltà di pensiero e problemi nella risoluzione di questioni quotidiane. La causa più comune è la malattia di Alzheimer, seguita da altre forme, tra cui la demenza vascolare e quella frontotemporale. I sintomi iniziano spesso con cambiamenti lievi, come dimenticare appuntamenti o smarrire oggetti personali, ma tendono a peggiorare nel tempo. Quando questi segni sono presenti in modo lieve, si parla di compromissione cognitiva lieve (MCI), che può evolvere in demenza vera e propria.
Secondo uno studio pubblicato su Nature Medicine, il rischio di sviluppare demenza nel corso della vita è più alto di quanto si pensasse in precedenza, specialmente tra gli over 75. I ricercatori hanno analizzato oltre 15.000 adulti di età superiore ai 55 anni, monitorandoli per un periodo medio di 23 anni. Nessuno dei partecipanti presentava sintomi di demenza all’inizio dello studio. Dai dati raccolti è emerso che il rischio di sviluppare questa condizione per tutta la vita è del 42%, con una crescente probabilità all’aumentare dell’età.
Tra i 55 e i 75 anni, il rischio è relativamente basso, ma aumenta significativamente dopo i 75 anni. Superata questa età, le probabilità di sviluppare demenza crescono rapidamente, fino a raggiungere il 42% intorno ai 95 anni. I dati rivelano inoltre importanti differenze legate al genere e alle caratteristiche demografiche. Le donne risultano maggiormente colpite rispetto agli uomini, con un rischio stimato del 48% contro il 35%. Differenze rilevanti emergono anche tra le diverse comunità etniche, con gli adulti neri che presentano un rischio del 44% rispetto al 41% dei bianchi. Secondo gli esperti, queste disparità potrebbero essere legate a fattori strutturali, come le disuguaglianze nell’accesso all’istruzione e all’assistenza sanitaria, che si accumulano nel corso della vita.
Un altro elemento significativo riguarda il ruolo dei fattori genetici, in particolare la variante APOE ε4. Questo gene è strettamente associato alla malattia di Alzheimer, e chi eredita due copie di questa variante presenta un rischio di demenza del 59%, rispetto al 48% per chi ne eredita una sola e al 39% per chi non ne possiede alcuna. Questi risultati evidenziano l’importanza di integrare le conoscenze genetiche nella prevenzione e nella diagnosi precoce.
L’invecchiamento della popolazione rappresenta un fattore determinante per l’aumento dei casi di demenza nei prossimi decenni. Questo fenomeno, combinato con il crescente impatto sociale ed economico della condizione, richiede interventi urgenti. Promuovere stili di vita sani, come una dieta equilibrata e l’esercizio fisico, potrebbe contribuire a ridurre il rischio individuale. Allo stesso tempo, è fondamentale investire in programmi di ricerca per identificare strategie di prevenzione efficaci e sviluppare trattamenti innovativi.
Le conclusioni dello studio sottolineano che il carico della demenza è destinato a crescere in modo significativo nei prossimi decenni. L’adozione di politiche sanitarie mirate e l’implementazione di programmi che promuovano l’invecchiamento in salute devono diventare priorità globali. Con un milione di nuovi casi annuali previsti entro il 2060, la necessità di affrontare questa sfida non è mai stata così urgente.