Man mano che l’umanità si avventura sempre più lontano nello spazio, le missioni spaziali diventano progressivamente più lunghe e complesse. Una delle sfide principali che gli astronauti dovranno affrontare è l’esposizione prolungata alle radiazioni spaziali. A differenza della Terra, che è protetta dal suo campo magnetico e dall’atmosfera, lo spazio interplanetario è un ambiente altamente radioattivo. Questa esposizione rappresenta un rischio significativo per la salute degli equipaggi impegnati in missioni a lungo termine, come quelle previste sulla Luna e su Marte. Per mitigare questi rischi e garantire la sicurezza degli astronauti, è essenziale comprendere quali tipi di protezione possano offrire i futuri veicoli spaziali e i dispositivi di protezione individuale. Per fare ciò, è necessario quantificare il livello di radiazioni durante l’intero volo.
La missione Artemis I e la raccolta di dati sulle radiazioni
Obiettivi della missione Artemis I
Uno degli obiettivi principali di Artemis I, la prima missione senza equipaggio del programma Artemis della NASA, era misurare l’esposizione alle radiazioni all’interno della capsula Orion. Questo esperimento ha permesso per la prima volta la raccolta di dati continui durante un viaggio Terra-Luna. Le agenzie spaziali DLR, ESA e NASA hanno recentemente pubblicato i primi risultati di questi esperimenti sulla rivista Nature.
Strumenti e metodi di misurazione
La missione Artemis I è partita dal Kennedy Space Center il 16 novembre 2022 a bordo del razzo SLS e ha fatto ritorno sulla Terra l’11 dicembre 2022, dopo aver percorso oltre 2,25 milioni di chilometri e aver effettuato due sorvoli della Luna. La capsula Orion, il veicolo spaziale scelto dalla NASA per trasportare gli astronauti nell’orbita lunare, era equipaggiata con una serie di strumenti per raccogliere dati sulle radiazioni. Tra questi, l’Hybrid Electronic Radiation Assessor (HERA) della NASA, un rilevatore di particelle cariche, e gli active dosimeters, sensori in grado di registrare un’ampia gamma di energie della radiazione ionizzante.
Risultati delle misurazioni e implicazioni per le future missioni
Analisi dei dati raccolti
I dati raccolti durante la missione Artemis I hanno rivelato che l’esposizione alle radiazioni all’interno della capsula Orion variava significativamente a seconda della posizione del rilevatore. Le aree più schermate della navicella offrivano una protezione dalle particelle energetiche delle fasce di Van Allen quattro volte maggiore rispetto a quelle meno schermate. Questo risultato convalida il progetto di shielding della navicella. Inoltre, le misurazioni hanno mostrato che nell’area più schermata della capsula, le radiazioni sono rimaste sotto i 150 millisievert, un livello di sicurezza tale da prevenire malattie acute da radiazioni.
Confronto tra i manichini Helga e Zohar
Un altro aspetto interessante della missione Artemis I è stato l’uso di tre manichini inanimati: Moonikin Campos, che occupava il posto del comandante, e due mezzi busti chiamati Helga e Zohar. Zohar indossava un giubbotto di protezione dalle radiazioni chiamato AstroRad, mentre Helga no. Entrambi i manichini erano dotati di rilevatori di radiazioni sulla loro superficie esterna e all’interno degli organi “finti”. Confrontando i dati raccolti dai due manichini, gli scienziati potranno determinare l’efficacia del giubbotto AstroRad nel proteggere un astronauta dall’esposizione a radiazioni nocive.
Implicazioni per la sicurezza delle future missioni spaziali
Progettazione di missioni future
I risultati delle misurazioni delle radiazioni durante la missione Artemis I forniscono informazioni preziose per la progettazione di future missioni spaziali. Ad esempio, una virata di 90 gradi durante il flyby di Orion della fascia di Van Allen interna ha ridotto l’esposizione alle radiazioni del 50%. Queste informazioni saranno cruciali per ottimizzare le traiettorie di volo e le strategie di protezione per le future missioni con equipaggio.
Conferma dell’idoneità della capsula Orion
Alla luce dei risultati ottenuti, gli scienziati concludono che è improbabile che l’esposizione alle radiazioni nelle future missioni Artemis superi i limiti stabiliti dalla NASA per gli astronauti. Questo conferma l’idoneità della capsula Orion per missioni con equipaggio. La missione Artemis I rappresenta quindi una tappa fondamentale per la comprensione dell’impatto delle radiazioni spaziali sulla sicurezza delle future missioni con equipaggio sulla Luna.
Prospettive future e ulteriori ricerche
Analisi continua dei dati
Il team congiunto di scienziati di ESA, NASA e DLR continuerà ad analizzare la grande quantità di dati raccolti durante i 25 giorni di volo di Artemis I. Questo lavoro sarà fondamentale per migliorare ulteriormente le misure di protezione contro le radiazioni per le future missioni spaziali.
Importanza delle conoscenze acquisite
Le conoscenze acquisite grazie ai rilevatori di radiazioni posizionati in tutta la capsula Orion sono preziose. Questi dati permetteranno di stimare con precisione l’esposizione alle radiazioni degli astronauti dell’ESA prima del loro viaggio nello spazio profondo, garantendo la loro sicurezza nelle missioni verso la Luna e oltre. Come sottolinea Sergi Vaquer Araujo, responsabile del team di medicina spaziale presso l’Agenzia Spaziale Europea, queste informazioni sono cruciali per la pianificazione e l’esecuzione di missioni spaziali sicure ed efficaci. La missione Artemis I ha fornito dati fondamentali per comprendere l’esposizione alle radiazioni nello spazio e per sviluppare misure di protezione efficaci per gli astronauti. Questi risultati rappresentano un passo importante verso la realizzazione di missioni spaziali a lungo termine sicure e di successo.