La ricerca indipendente è diventata un mantra per molti teorici della cospirazione negli ultimi anni. Tuttavia, uno studio recente ha evidenziato come l’utilizzo dei motori di ricerca online per verificare informazioni possa portare a cadere in “vuoti di dati” che rafforzano le convinzioni associate alle teorie cospirative. In questo articolo, esploreremo i risultati di questo studio e le implicazioni che esso ha per la diffusione della disinformazione.
La ricerca online e i vuoti di dati
I motori di ricerca sono strumenti potenti per trovare informazioni, ma non sono esenti da difetti. La ricerca di alcuni termini può portare a risultati falsi o fuorvianti. Ad esempio, se si cerca informazioni su una presunta “carestia ingegnerizzata” negli Stati Uniti, causata da lockdown pianificati e vaccinazioni per il COVID-19, è probabile che si incontrino risultati ingannevoli, poiché il termine “carestia ingegnerizzata” non è comunemente presente in fonti affidabili.
Joshua Tucker, co-autore e co-direttore del Center for Social Media and Politics della New York University, ha spiegato a Motherboard di Vice che il problema sorge quando le persone incontrano un articolo online e non sono sicure della sua veridicità, quindi cercano ulteriori informazioni tramite un motore di ricerca. Questo tipo di suggerimento è spesso presente in molte guide alla alfabetizzazione digitale.
Esperimenti sulla verifica delle notizie
Tucker e i suoi colleghi hanno condotto esperimenti per esplorare come le persone verificano le notizie fresche. Il primo esperimento, iniziato alla fine del 2019, ha coinvolto circa 3.000 partecipanti dagli Stati Uniti che hanno valutato l’accuratezza di articoli di attualità su argomenti come il processo di impeachment di Trump, le vaccinazioni per il COVID-19 e il cambiamento climatico.
Gli articoli erano stati pubblicati nelle ultime 48 ore e provenivano sia da fonti affidabili che da fonti fuorvianti. Metà dei partecipanti è stata invitata a cercare online per verificare gli articoli, mentre dei verificatori professionali hanno etichettato gli articoli come “veri”, “falsi o fuorvianti” o “non determinabili”.
I risultati hanno mostrato che coloro che sono stati invitati a verificare gli articoli tramite ricerche online erano il 19% più propensi a considerare una storia falsa o fuorviante come un fatto rispetto a coloro che non erano stati incoraggiati a farlo.
L’impatto della ricerca online sulla percezione della veridicità
Quattro esperimenti successivi, condotti tra il 2019 e il 2021, hanno rivelato che circa il 18% delle persone che inizialmente diffidavano di una storia, valutandola come “fuorviante”, in seguito ha cambiato la propria designazione della storia in “fatto” dopo aver cercato online, mentre solo il 6% ha mai cambiato la propria risposta da vero a falso.
“Attraverso cinque studi, abbiamo scoperto che l’atto di [cercare online per valutare le notizie] può aumentare la credenza in informazioni altamente popolari e fuorvianti in misura misurabile”, spiega il team nel loro articolo.
Hanno aggiunto: “Utilizzando dati digitali tracciabili, forniamo prove coerenti con l’esistenza di vuoti di dati, in quanto scopriamo che, quando gli individui cercano online informazioni sulla disinformazione, è più probabile che siano esposti a informazioni di qualità inferiore rispetto a quando cercano informazioni su notizie vere”.
Sembra che l’esposizione a “informazioni di bassa qualità” renda le persone più propense a credere a storie false o fuorvianti rispetto a coloro che non sono esposti a tali informazioni.
Le implicazioni per l’alfabetizzazione digitale
Gli autori dello studio sottolineano che, sebbene sia necessario bilanciare gli effetti eterogenei della ricerca online sulla verifica delle notizie in base alla veridicità dell’articolo e alla qualità della fonte, l’aumento della credenza nella disinformazione dovrebbe essere di particolare importanza nella progettazione di interventi di alfabetizzazione mediatica digitale che raccomandano la ricerca come strategia potenziale.
Chirag Shah, professore di scienze dell’informazione presso l’Università di Washington che non è stato coinvolto negli studi, ha detto a Motherboard che le quattro parole più pericolose sono “fai la tua ricerca”. Questo sembra controintuitivo, poiché l’educazione incoraggia gli studenti a fare proprio questo. Il problema è che le persone non sanno come farlo correttamente.
Conclusioni
Lo studio, pubblicato sulla rivista Nature, mette in luce come la ricerca online possa non solo non aiutare a combattere la disinformazione, ma addirittura rafforzarla. È fondamentale, quindi, che vengano sviluppate strategie efficaci per insegnare alle persone come condurre ricerche online in modo critico e informato, al fine di contrastare la diffusione di notizie false e fuorvianti.